sabato 3 ottobre 2009

Sinodo dei vescovi per l'Africa. La testimonianza di due missionari sul ruolo della donna nella riconciliazione etnica e sull'opera educativa

“Cammini di pace sono stati aperti dai Pastori, dalle persone consacrate, dalle Comunità Ecclesiali Viventi, dai laici, individualmente o in associazioni. Restano ancora degli ostacoli da superare […] La Chiesa ha partecipato, a diversi livelli, a ristabilire la pace in un certo numero di Paesi, grazie all’insegnamento e all’azione dei suoi Pastori. Nei Grandi Laghi, ad esempio, le Conferenze Episcopali hanno lavorato a costruire la pace favorendo l’avvicinamento dei giovani dei Paesi in conflitto”. E’ scritto nell’Instrumentum Laboris della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa (n.63, 67). Queste affermazioni trovano una personale conferma nelle parole di padre Richard Baawabr, sacerdote ghanese dei Padri Bianchi (Missionari d’Africa), presenti in Africa dal 1868 e impegnati concretamente per l’evangelizzazione e il dialogo con l’Islam in 22 paesi africani. “La Chiesa ha sempre avuto un ruolo fondamentale di mediazione tra gli attori in conflitto – ha detto padre Richard all’agenzia Fides – sia a livello nazionale che regionale e locale. È soprattutto l’impegno quotidiano a contatto con la vita delle persone che può portare i suoi frutti. Abbiamo visto che la lettura della Parola di Dio e la preghiera in comune motivano moltissimo le persone a cercare vie di soluzione ai conflitti e alle tensioni etniche.” Le vie dell’evangelizzazione in questi secoli di incontro del Vangelo con i popoli africani hanno percorso diverse strade. Sembra che la più efficace oggi sia quella delle piccole Comunità ecclesiali di base. “Le piccole comunità di base – spiega il missionario - sono formate da piccoli gruppi e guidate da persone adeguatamente formate e responsabili per la fede del gruppo. Si crea un clima di famiglia e di conoscenza molto profonda, per cui lo spirito di carità e assistenza reciproca diventa molto spontaneo e immediato”. Si realizza così l’auspicio espresso nell’Instrumentum Laboris al n. 84 e 88: “Forza di coesione e di costruzione di comunità cristiane e di società più giuste e più fraterne, la Parola di Dio ridinamizza e rivivifica i membri delle nostre comunità. È importante dunque ascoltare, meditare ed approfondire la Parola, luogo privilegiato in cui si realizza il progetto meraviglioso di Dio sulla persona umana e sulla creazione. Le esperienze di certe famiglie in cui la Bibbia è al centro della loro vita e serve all’educazione dei figli e alle relazioni tra i genitori, attestano che la Parola di Dio ristabilisce l’armonia e la concordia nella casa, e rinsalda i legami familiari [..] L’immagine della Chiesa come Famiglia ha messo in rilievo i valori familiari africani di solidarietà, condivisione, rispetto dell’altro, coesione”. Anche in Africa la differenza sociale ed economica tra città-metropoli e zone rurali incide sulla realtà della famiglia. “Il valore della famiglia – continua padre Richard – è ancora molto forte in Africa, ma certamente in città è diventato un legame più debole, fragile e sottoposto a forti pressioni e spinte negative. Invece nei villaggi i matrimoni e i legami familiari sono ancora robusti.” In questo contesto, la realtà africana deve ancora crescere nei confronti del rispetto della donna, sia nell’ambito della vita familiare sia in quella ecclesiale, sia civile. “Ciascuno deve prendere il suo posto e fare la sua parte. Deve essere in grado di poterla fare - afferma il missionario ghanese – poiché le mamme dentro la propria casa, le suore nella chiesa e le donne in generale nella società civile devono essere maggiormente ascoltate e valorizzate. La donna ha un ruolo molto prezioso per operare quella riconciliazione tra le persone e le etnie che rende anche il messaggio di Cristo più credibile”. Le guerre fratricide sono uno dei mali più scandalosi e tragici di molti paesi africani. “Purtroppo – come spiega il missionario – le cause risiedono nel fattore esterno, quali le nazioni ricche che approfittano delle guerre per dare lavoro, per creare e mantenere la confusione sociale e politica, così da controllare ed agire meglio a vantaggio dei propri interessi, ed in un fattore interno, determinato dalla incapacità degli attori politici e sociali di consolidare un tessuto sociale ed economico sano”.
“Ho vissuto 20 anni come missionario in Etiopia – racconta sempre all’agenzia Fides padre Giuseppe Cavallini, dei Missionari Comboniani – per testimoniare le diverse fasi del rapporto tra cristiani e musulmani. Fino al ’90 il dialogo tra fedi diverse era naturale, soprattutto nella vasta area dell’Africa sub-Sahariana. Era molto comune trovare famiglie i cui membri appartenevano alla Chiesa cattolica, all’Islam e alle religioni tradizionali. Poi le cose sono cambiate, soprattutto perché gli Stati islamici hanno rafforzato il finanziamento per la costruzione di scuole e moschee e soprattutto introducendo l’elemento politico”. Una realtà fotografata dalle parole del’Instrumentum Laboris: “In certi luoghi, la convivenza con i nostri fratelli musulmani è sana e buona; in altri, invece, la diffidenza da entrambi i lati impedisce un dialogo sereno: i conflitti occasionati dai matrimoni misti ne sono una prova. L’intolleranza poi di certi gruppi islamici genera ostilità e alimenta i pregiudizi. Non aiutano neanche le posizioni dottrinali di alcune correnti a proposito della Jihad. La tendenza a politicizzare le appartenenze religiose è del resto un pericolo comparso laddove si era iniziato il dialogo. Tuttavia, all’interno delle crisi, in alcune regioni la collaborazione in materia di educazione civica ed elettorale si è rivelata fruttuosa” (n.102). Non tutto è negativo, ma è vero che anche in Africa si sente il clima diverso che si respira anche in altre parti del mondo. “La sfida dell’evangelizzazione – spiega il missionario – è diventata più impegnativa e faticosa. La Chiesa annuncia il Vangelo senza assumere gli atteggiamenti radicali e pretenziosi di alcune minoritarie frange dell’Islam”. Il ruolo e il significato dell’Etiopia, da secoli il baluardo della cristianità in Africa, sembra sia diventato l’obiettivo dei musulmani, tanto che nel 2004 avevano proclamato Adis Abeba la capitale dell’Islam nel continente. Spiega ancora padre Cavallini: “i musulmani considerano l’africano come ‘naturalmente fatto’ per l’Islam; così cercano di saldare il proprio credo dentro la religione tradizionale, facendo emergere i numerosi tratti in comune, come la poligamia, la famiglia, il ruolo della donna limitato alla famiglia, l’unico dio”. “Il Vangelo si radica nel tessuto umano della cultura. Le società africane constatano, impotenti, la disgregazione delle loro culture. La Chiesa può formare cristiani autentici solo prendendo seriamente in mano l’inculturazione del messaggio evangelico” dice ancora l’Istrumentum Laboris (n.73). La strada migliore per incidere sul tessuto umano e sociale e per rendere vivo e vero per gli africani il messaggio di Cristo, secondo padre Cavallini, “è la scuola. Essa trasforma molto di più di tante altre vie e strategie. Dobbiamo continuare nella nostra opera educativa e formativa.”

Fides