Chi va a Messa, si inginocchia in un confessionale, chiede un consiglio spirituale incontra un sacerdote ma in realtà vuole incontrare Cristo e vuole ascoltare la voce di Dio. E’ questa la semplice e insieme altissima missione di un prete. Essere un volto dietro il quale si intuisce un altro Volto, pronunciare parole che siano la Parola. Da questa straordinaria responsabilità, che esula da qualità solo umane, discende tuttavia che proprio l’umanità di un sacerdote sia continuamente modellata sulla divinità del Sacerdote per eccellenza, Cristo. Il Magistero di Benedetto XVI è imperniato su queste convinzioni, riproposte in tutte le occasioni che fin qui hanno permesso al Papa di esprimersi su questo tema e in qualche modo preparare l’Anno Sacerdotale. E’ evidente che se un prete, con la zavorra dei suoi limiti e la grazia del suo stato, è chiamato a misurare ogni giorno la propria vocazione che con il metro della santità - né più né meno vuol dire essere “un altro Cristo” - ciò che conta per lui è anzitutto un sistematico esame di coscienza. Il Papa ne ha tracciato uno pubblico, ad alta voce, durante la Messa Crismale di quest’anno. Nove domande, stringenti, un distillato di schiettezza spirituale.
“Siamo veramente pervasi dalla parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero? O non è piuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi? Ci lasciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla parola di Dio?” (9 aprile 2009: Santa Messa del Crisma).
E’ evidente la spinta che il Pontefice imprime verso l’alto. Il sacerdote, osserva in quella stessa circostanza, è un uomo “sottratto alle connessioni mondane e donato a Dio”. E la meta finale di questo percorso è l’oggetto stesso per cui Benedetto XVI ha deciso di proclamare un Anno dedicato ai sacerdoti: favorire in loro la “tensione verso la perfezione spirituale”, come afferma il 9 marzo scorso quando ne dà l’annuncio davanti alla Congregazione per il Clero.
Del resto, aveva obiettato il 25 maggio 2006 durante il suo viaggio in Polonia: “Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale (…) Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire” (Incontro con il Clero nella Cattedrale di S. Giovanni di Warszawa (25 maggio 2006)).
Dunque, sguardo sempre rivolto a Dio e quindi rivolto all’umanità. Il sacerdote vive tra due mondi, ma il Papa è sempre molto realista quando si tratta di valutare l’impatto delle cose della terra sull’anima del prete, che deve essere proiettata verso il cielo.
Per questo, dice durante la Messa Crismale del 2008: “Il sacerdote deve essere uno che vigila. Deve stare in guardia di fronte alle potenze incalzanti del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene” (20 marzo 2008: Santa Messa del Crisma).
I mezzi per la “perfezione” sono noti a ogni presbitero: Eucaristia, fedeltà a una preghiera profonda, formazione permanente. Il Papa ne parla quasi ogni settimana, quando le stanze della sua casa si riempiono di vescovi di tutto il mondo che vengono a raccontargli delle loro Chiese particolari. Ma è possibile fin qui individuare un concetto su tutti, il leit-motiv che - secondo Benedetto XVI - “fa” il sacerdote, come dichiara il 13 maggio 2005, nel tradizionale incontro con il clero romano.
“Tutto ciò che è costitutivo del nostro ministero non può essere il prodotto delle nostre capacità personali (…) Siamo mandati non ad annunciare noi stessi o nostre opinioni, ma il mistero di Cristo e, in Lui, la misura del vero umanesimo. Siamo incaricati non di dire molte parole, ma di farci eco e portatori di una sola 'Parola', che è il Verbo di Dio fatto carne per la nostra salvezza” (Al Clero di Roma (13 maggio 2005)).
Radio Vaticana