venerdì 24 settembre 2010

Summit e dubbi amletici sul nuovo arcivescovo di Torino. Chi entra e chi esce dalla lista dei candidati. Non è escluso un intervento diretto del Papa

Chi sarà il nuovo arcivescovo di Torino? Nei Sacri Palazzi l’interrogativo tiene banco. Soprattutto da quando, sabato scorso, l’arcivescovo uscente della diocesi il cui regno sotto la Mole Antonelliana dura dal 1999, il card. Severino Poletto (nella foto con Benedetto XVI) a un raduno di seminaristi ha annunciato: “Domani trasloco. Dal prossimo weekend la mia abitazione resterà vuota”. Vuota, ma in attesa di chi? La risposta non è facile. Anzitutto non è scontato che il trasloco di Poletto significhi l’annuncio del suo successore già il prossimo sabato, come alcuni oltre il Tevere provano a ipotizzare. Inoltre, la grande attenzione che l’episcopato italiano riversa su Torino, come su Milano, le due nomine in assoluto più attese, rende ogni decisione difficile. Qui, più che altrove, scegliere è un gioco per equilibristi. Ma se per Milano farà sentire maggiormente il proprio peso il neo prefetto dei vescovi, ovvero il cardinale franco-canadese Marc Ouellet, per la scelta di Torino pesa ancora parecchio l’influenza del prefetto da poco sostituito, il card. Giovanni Battista Re, capofila della gloriosa “scuola bresciana” di derivazione montiniana. Non a caso, nei giorni scorsi, insieme a Ouellet è stato chiamato in Segreteria di Stato proprio Re per un mini summit tutto dedicato al futuro di Torino. Oltre a Ouellet e Re c’erano anche il Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone e i suoi due principali collaboratori, ovvero il sostituto Fernando Filoni e il segretario dei Rapporti con gli Stati Dominique Mamberti, e infine il Nunzio in Italia mons. Giuseppe Bertello. Secondo indiscrezioni provenienti da Torino, la fumata post summit sarebbe stata nera. Tanto che i sei porporati avrebbero deciso di aggiornarsi a breve. Tuttavia, se prima del summit l’ago della bilancia pendeva maggiormente a favore del piemontese Aldo Giordano, 56enne originario di Cuneo, dal 2008 osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo e precedentemente segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, a riunione conclusa l’impressione era quella dell’avanzamento delle quotazioni dell’unico non piemontese nella rosa, ovvero il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi. Ciociaro, agli occhi dell’episcopato italiano ha dalla sua il fatto di aver occupato, con la benedizione del card. Camillo Ruini quando era presidente dei vescovi italiani, un incarico prestigioso: assistente dell’Azione cattolica. La terna dei candidati comprendeva anche il vescovo di Alessandria Giuseppe Versaldi, stimato dal card. Bertone che lo ebbe come vicario nella diocesi di Vercelli. Ma già da giorni la sua candidatura sembra decaduta per alcune resistenze interne alla diocesi. Oltre a questi nomi, era stato fatto anche quello di un altro ruiniano doc: il ligure Cesare Nosiglia, oggi arcivescovo di Vicenza. Ma pare che tutti abbiano concordato su un fatto: se il nuovo arcivescovo di Torino deve essere un non piemontese, allora meglio puntare su Lambiasi. Sono mesi che le voci su Torino si rincorrono. Da Torino arrivano a Roma, e dalla curia romana salgono fino all’appartamento papale. Beninteso: il Papa è intenzionato ad accettare il nome che Bertone gli porterà, ma è evidente che più crescono le difficoltà e più aumenta la possibilità di un suo intervento diretto, e non è escluso che sia per proporre un nome di un outsider. Benedetto XVI sa bene quanto conti Torino nello scacchiere italiano. Torino è sede cardinalizia. Chi diviene arcivescovo raggiunge in tempi brevi la berretta rossa. E, anche se il successore di Poletto non entrerà nel Concistoro previsto per fine novembre, senz’altro vi entrerà in quello successivo. Torino viene da anni difficili. La gestione di Poletto ha visto i seminari svuotarsi, i preti diminuire, la pratica religiosa in calo. Colpa del vescovo? Difficile rispondere. Anche perché in tutta Italia, tranne rare eccezioni, si verificano situazioni di segno uguale. Il clero torinese si aspetta un segnale importante da Roma: un pastore che sappia far tornare la Chiesa ai fastosi anni di Maurilio Fossati, vescovo di Torino fino al 1965. Quale il suo portato? Seppe più di altri mediare l’incontro e i conflitti tra le forze vive del territorio e la Curia-istituzione. Non a caso, a Torino, i grandi “Santi sociali”, don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Faà di Bruno, fioriscono quando la dialettica con la Curia non è esasperata.

Paolo Rodari, Il Foglio