Ma che senso ha questo legame con Cristo quando si pensa alla morte, se a Cristo non si pensa mai o quasi durante la vita e se la promessa di Dio dell’immortalità dell’anima e del corpo per tanti vale più o meno come una bella e inconsistente “favola”?
“L’uomo moderno l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una mitologia ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è talmente assorbiti dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della nostra stessa vita” (Udienza generale, 2 novembre 2005).
In un’altra occasione l’appello di Benedetto XVI: "E’ necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere” (Angelus, 2 novembre 2008).
E’ qui il grande paradosso dell’uomo contemporaneo, che ha largamente dismesso la spiritualità cristiana e però finisce prima o poi per rannicchiarsi in qualche tipo di trascendenza parallela, quando deve fare i conti con ciò che non può controllare: la vita che finisce, la sua o quella di persone che ama. Non può farne a meno perché, ha affermato Benedetto XVI, l’esistenza umana “per sua natura è protesa a qualcosa di più grande”.
“In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la ‘vita beata’, la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. L’espressione ‘vita eterna’ vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo" (Angelus, 2 novembre 2008).
L’eternità, ha detto ancora ieri all’Angelus Benedetto XVI, “non è un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità dell’essere, della verità, dell’amore”. Quella totalità divenuta storia terrena e promessa di cielo quando duemila anni fa la pietra è rotolata via dal sepolcro e Gesù ne è riemerso con un messaggio che nessun uomo potrà mai promettere a un suo simile e che il Papa ha espresso così: “Sono risorto e ora sono sempre con te, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce” (Angelus, 2 novembre 2008).
Radio Vaticana