giovedì 18 novembre 2010

Il Papa: urgenza di ravvivare l’interesse ecumenico e di dare nuova incisività ai dialoghi davanti a sfide inedite. L’unità non la facciamo noi ma Dio

Il dialogo ecumenico ha compiuto “molta strada” in 50 anni, ma ha bisogno di ritrovare slancio soprattutto in Occidente, senza dimenticare che l’unità dei cristiani la costruisce Dio e non un’abile capacità di negoziato o di compromesso. Con questi concetti, Benedetto XVI si è rivolto questa mattina in udienza all'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani sul tema "Verso una nuova tappa del dialogo ecumenico", che ieri ha festeggiato i 50 anni di costituzione del dicastero. L’unità dei cristiani “non la ‘facciamo noi’, la ‘fa’ Dio”. L’affermazione del Papa è il baricentro di un discorso che, al di là di alcune riflessioni celebrative legate alla storia, inquadra con molta chiarezza lo stato del cammino ecumenico per ciò che riguarda il presente e il futuro prossimo. Le prime parole di Benedetto XVI sono state di riconoscenza per la decisione con cui 50 anni fa il Beato Giovanni XXIII dava vita al Segretariato per la Promozione per l’Unità dei Cristiani, poi trasformato da Giovanni Paolo II, nel 1988, in Pontificio Consiglio: “Fu un atto che costituì una pietra miliare per il cammino ecumenico della Chiesa cattolica. Nel corso di cinquant’anni è stata percorsa molta strada...Sono cinquant’anni in cui si è acquisita una conoscenza più vera e una stima più grande con le Chiese e le Comunità ecclesiali, superando pregiudizi sedimentati dalla storia; si è cresciuti nel dialogo teologico, ma anche in quello della carità; si sono sviluppate varie forme di collaborazione, tra le quali, oltre a quelle per la difesa della vita, per la salvaguardia del creato e per combattere l’ingiustizia, importante e fruttuosa è stata quella nel campo delle traduzioni ecumeniche della Sacra Scrittura”. Lungo l’elenco dei nomi dei titolari del dicastero ringraziati dal Papa per averne retto le sorti in mezzo secolo e, con loro, tutti i membri che a vario titolo ne hanno fatto e ne fanno parte. Quindi, l’attenzione del Pontefice si è spostata al presente, in particolare al lavoro dell’“Harvest Project” col quale, ha detto, si intende “tracciare un primo bilancio dei dialoghi teologici” conseguiti “con le principali Comunità ecclesiali” dal Concilio Vaticano II in qua. Con una indicazione ben precisa rispetto “al cammino verso l’unità”: “Oggi alcuni pensano che tale cammino, specie in Occidente, abbia perso il suo slancio; si avverte, allora, l’urgenza di ravvivare l’interesse ecumenico e di dare una nuova incisività ai dialoghi. Sfide inedite, poi, si presentano: le nuove interpretazioni antropologiche ed etiche, la formazione ecumenica delle nuove generazioni, l’ulteriore frammentazione dello scenario ecumenico”. “È essenziale prendere coscienza di tali cambiamenti”, ha raccomandato Benedetto XVI, ricordando al contempo i punti cruciali toccati oggi con gli ortodossi e con le Antiche Chiese Orientali: con i primi, “il ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa”, mentre con le altre la constatazione di aver preservato “un prezioso patrimonio comune”, nonostante “secoli di incomprensione e di lontananza”. Proseguire su questa strada è un impegno che resta “fermo” purché, ha osservato schiettamente il Papa, non lo si faccia pensando sia sufficiente solo “l’abilità di negoziare”, né una “maggiore capacità di trovare compromessi”. “L’azione ecumenica ha un duplice movimento. Da una parte la ricerca convinta, appassionata e tenace per trovare tutta l’unità nella verità, per escogitare modelli di unità, per illuminare opposizioni e punti oscuri in ordine al raggiungimento dell’unità. E questo nel necessario dialogo teologico, ma soprattutto nella preghiera e nella penitenza, in quell’ecumenismo spirituale che costituisce il cuore pulsante di tutto il cammino: l’unità dei cristiani è e rimane preghiera, abita nella preghiera”. Dall’altra parte, ha concluso Benedetto XVI, non deve mai offuscarsi questo semplice assunto: “L’unità non la ‘facciamo noi’, la ‘fa’ Dio: viene dall’alto, dall’unità del Padre con il Figlio nel dialogo di amore che è lo Spirito Santo; è un prendere parte all’unità divina. E questo non deve far diminuire il nostro impegno...Alla fine, anche nel cammino ecumenico, si tratta di lasciare a Dio quello che è unicamente suo e di esplorare, con serietà, costanza e dedizione, quello che è nostro compito, tenendo conto che al nostro impegno appartengono i binomi di agire e soffrire, di attività e pazienza, di fatica e gioia”.

Radio Vaticana