Uno studio commissionato dai vescovi cattolici americani, durato cinque anni, ha concluso che ne l’omosessualità e ne l’obbligo per i sacerdoti di rimanere celibi sono tra le cause dello scandalo degli abusi sessuali che ha colpito la Chiesa. Secondo la relazione finale della ricerca la causa degli abusi va ricercata negli anni '60 e ’70, quando i sacerdoti, poco preparati e seguiti, sono stati chiamati a compiere la propria missione nel bel mezzo dei tumulti sociali e sessuali. In quegli anni, ha rilevato lo studio, i casi di abusi sessuali su minori da parte dei preti sono aumentati sensibilmente e il problema è peggiorato quando la Chiesa, come risposta, ha prestato più attenzione agli autori che alle vittime. Lo studio è stato presentato oggi negli Stati Uniti dalla Conferenza dei vescovi cattolici di Washington. Iniziata nel 2006, la ricerca è stata condotto da un team di ricercatori del John Jay College of Criminal Justice di New York ad un costo di 1,8 milioni di dollari. Metà dei costi sono stati pagati dai vescovi, 280mila dollari li ha stanziati l’agenzia di ricerca del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e il resto è stato coperto dalle fondazioni e dalle organizzazioni cattoliche. Questo studio, scrive il New York Times che è riuscito a ottenere una copia del rapporto in anticipo, probabilmente verrà considerato come l’analisi più autorevole dello scandalo nella Chiesa Cattolica d’America. In realtà la spiegazione basata sulla ”blame Woodstock”, responsabilità di Woodstock, il festival musicale che consacrò la cultura hippy, scrive il New York Times era già stata sostenuta dai vescovi fin dall’esplosione dello scandalo nel 2002 e ribadita dal Papa Benedetto XVI dopo i casi di abusi emersi in Europa nel 2010. All’interno della Chiesa i conservatori hanno sempre ritenuto che la causa fosse da ricercare nelle tendenze omosessuali dei preti, mentre i liberali hanno sostenuto che fosse il celibato dei sacerdoti a indurre in tentazione. La ricerca smentisce entrambe le posizioni. I preti omosessuali iniziarono ad entrare in numero “notevole” nei seminari a partire dal 1970 e continuarono nel corso degli anni ’80. Presero dunque servizio a metà degli anni ’80 e in quel periodo i casi di abusi sessuali ebbero un crollo per stabilizzarsi poi a livelli bassi. Le vittime sono maggiormente ragazzi maschi non a causa dell’omosessualità dei preti ma perché nelle parrocchie e nelle scuole i sacerdoti avevano più accesso ai ragazzi che alle ragazze. Inoltre il rapporto rivela che soltanto nel 5% dei casi di abuso sessuale, il sacerdote mostra un comportamento coerente con la pedofilia definita come “un disturbo psichiatrico caratterizzato da ricorrenti fantasie, impulsi e comportamenti verso bambini in età prepuberale”. Tuttavia lo studio definisce di “età prepuberale” i bambini di 10 anni o meno e quindi i casi di pedofilia sono stimati attorno al 22%. L’American Psychiatric Association nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali definisce di “età prepuberale” i bambini di 13 anni o meno. Se lo studio, commissionato dai vescovi, fosse stato basato su questa definizione, la stragrande maggioranza dei casi sarebbero da considerare atti di pedofilia.
Agostino Loffredi, Il Journal