La Giornata Mondiale della Gioventù che si è appena conclusa, e che guarda già alla prossima che si terrà a Rio de Janeiro nel 2013, ha avuto come protagonista una semplice parola, che ha diviso gli spiriti per secoli: “verità”. In ogni discorso di Benedetto XVI, in un modo o in un altro, è stata citata. Basti ricordare che è proprio il disprezzo della verità che ha portato Cristo sulla croce, quella croce che i giovani hanno portato sulla Via Crucis celebrata in via Castellana a Madrid. Di fronte alla domanda di Pilato: “Cos’è la verità?”, Benedetto XVI ricorda nel suo “Gesù di Nazaret” che il procuratore romano non è stato “l’unico ad aver lasciato a margine tale questione, considerandola irrisolvibile e, per i suoi propositi, impraticabile. Anche oggi è considerata fastidiosa, tanto nel confronto politico, quando nella discussione sulla formazione del diritto”. Nella GMG che si è conclusa da qualche giorno a Madrid, l’espressione di Pilato nel suo dialogo con Gesù non è stato un punto e a capo, ma un punto e di seguito. Ovvero: non la fine della questione, ma l’inizio. Il tema di fondo che ha sotteso l’entusiasmo e la gioia di quelle centinaia di migliaia di giovani è stato la ricerca del concetto della verità. Inizialmente un tema filosofico, che tuttavia si è rivelato essere un incontro non con qualcosa, ma con Qualcuno: Cristo. Per quel Qualcuno il Papa ha chiesto, per esempio, di “soffrire per amore alla verità” e, sulla diffusione della verità come missione dei professori, Benedetto XVI si è concentrato con l’intensità di un raggio laser. Infine, il Papa, da bravo intellettuale, ha ricordato la famosa frase di Platone: “Cerca la verità mentre sei giovane, poiché se non lo fai, poi ti sfuggirà di mano”. Dal mio punto di vista, un piccolo striscione, esposto in mezzo alla moltitudine concentrata a Cibeles, ha segnato un’altra delle chiavi di lettura di queste Giornate. Mi riferisco a quello scritto a mano che diceva: “Siamo una famiglia”. Effettivamente, quei due milioni di giovani erano una grande famiglia multietnica e multirazziale che si è riunita intorno a un padre comune: Benedetto XVI. In quei giorni, a Madrid, si respirava quella “atmosfera di famiglia”. Come ha reagito l’anziano Papa Ratzinger di fronte a questa valanga che gli si è riversata addosso nell’autunno della sua vita? Il “cardinale panzer”, come alcuni lo chiamavano quando era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, somigliava molto più a un semplice aratro che a una macchina da guerra, come direbbe Messori. A Madrid, nei sui discorsi non ha schiacciato la terra come una schiacciasassi, ma l’ha rivangata per la semina. Ha lasciato cadere i semi della buona dottrina su una terra giovane. Una moltitudine di gente con il sole in faccia, mentre molti volgono la schiena al sole, che ti diceva: “Non so se potrò essere all’altezza di ciò che mi chiede il Papa. Riesca o meno a farlo, comunque lui ha ragione: nessuno mi aveva mai parlato così”. In un momento di “insurrezione sociale” dei giovani (Londra, Oslo, la “primavera araba”, gli “indignati”) il Papa ha lanciato ripetuti appelli a non perdere la speranza e l’ottimismo, a riscoprire la forza di Dio nella storia, il senso del dolore, a fermarsi davanti alla “sofferenza del mondo”. Ha chiesto “radicalità evangelica” nell’impegno personale, è stato esigente, senza pronunciare frasi lusinghiere, mentre al contempo distribuiva a destra e a sinistra affabilità e sorrisi, anche nel momento in cui si è letteralmente riversato il diluvio su di lui e sull’immensa spianata dei Quattro Venti. La sua risposta al riguardo è stata: serenità, buon umore e quell’impegno consegnato alle centinaia di migliaia di presenti: “Grazie per la vostra resistenza! La vostra forza è maggiore della pioggia!”. L’unica ombra di quella settimana è stato un aneddoto che i media, soprattutto quelli stranieri, hanno trasformato in un dramma. Mi riferisco alla mini manifestazione di qualche centinaio di “anti-papisti”. Non avrebbe avuto maggiore risonanza se non fosse stato per la deprecabile aggressione che hanno subito alcuni ragazzi, soprattutto ragazze, che si sono incontrati con i manifestanti. Per qualunque democratico è stato vergognoso osservare come i rappresentanti di alcuni gruppuscoli di facinorosi maltrattavano verbalmente e fisicamente alcuni adolescenti, urlando contro il loro invitato d’onore: il capo spirituale di milioni di cattolici. Un leader che incarna “la prima autorità del mondo”, come lo aveva qualificato Gorbachov quando presentò sua moglie Raissa a Giovanni Paolo II a Roma. Era penoso assistere – la BBC si è fatta carico di amplificarlo, per la maggiore confusione degli spagnoli – alle urla, ai gesti e alle espressioni di alcuni energumeni contro la serenità pacifica e un po’ intimorita di ragazzi ancora quasi bambini. Ma nulla e nessuno ha potuto sminuire ciò che è stato un altro punto cardine di questa GMG: la gioia dei partecipanti. Una gioia rumorosa, ma con radici profonde. Per questo, Benedetto XVI, nell’omelia della Messa dei Quattro Venti ha dato loro questa missione: “Comunicate agli altri la gioia della vostra fede”. Qualcuno ha qualificato le Giornate mondiali della gioventù come “laboratori della fede”. La GMG di Madrid 2011 ha saputo mescolare, in una formula magistrale, questi tre ingredienti: la “verità” come ricerca, la gioia e il sentirsi famiglia. Il risultato è stato eccellente.
Rafael Navarro-Valls, Zenit