Tra guerre che lasciano il segno, pandemie come l'aids, un rapporto non sempre facile con le altre religioni, a partire dall'islam, una pressante concorrenza di sette evangelicali tanto tradizionaliste quanto efficaci, il Papa volerà martedì in Africa per il suo primo viaggio al di là del Mediterraneo dopo aver già toccato, nel corso del suo pontificato, gli altri continenti. Benedetto XVI deve "combattere" anche con un nemico più sottile ma non meno insidioso: la disattenzione dei mass media internazionali a questo suo "pellegrinaggio" nel continente nero. Da martedì 17 a lunedì 23 marzo, il Papa visiterà l'anglo-francofono Camerun e l'Angola, dove si parla il portoghese. Per sottolineare la valenza generale di ogni tappa - oltre che per non costringere il Papa ad un 'tour de force' di impegni duplicati - gli incontri-simbolo avverranno solo in uno dei due paesi. In Camerun Benedetto XVI incontrerà i malati, con i quali affronterà il tema dell'aids e delle altre epidemie, i cristiani non cattolici e i rappresentanti musulmani; in Angola i diplomatici e i movimenti per la promozione dei diritti della donna. Nella capitale camerunense Yaoundé, inoltre, il Papa consegnerà ai vescovi locali le circa 50 pagine di "Instrumentum laboris" che prepara il Sinodo dei vescovi sull'Africa che si svolgerà poi in Vaticano ad ottobre. Tra gli eventi di rilievo della viaggio nel continente africano vanno poi annoverati due Sante Messe all'aperto, un incontro con i giovani nello stadio della capitale angolana Luanda e, in ognuno dei due paesi, un incontro con i vescovi, i preti e le suore locali per affrontare i problemi e le speranze della Chiesa Cattolica africana. Benedetto XVI è consapevole della religiosità africana. "Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia - disse nel viaggio in Baviera nel settembre 2006 - ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell'Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca". Terreno fertile per l'evangelizzazione, ma anche per la concorrenza di sette di matrice protestante, il continente nero rappresenta addirittura un esempio, nel pensiero di Papa Ratzinger, per la vecchia Europa. Se in passato i missionari erano europei che andavano in Africa, sono cresciuti, negli ultimi anni, i preti africani venuti a colmare la penuria di vocazioni occidentali. In Camerun, dove i cattolici sono il 26,7 per cento della popolazione, ci sono 8,1 sacerdoti per cento fedeli; in Angola, popolazione cattolica al 55,6 per cento, sono 2,4 ogni cento. Cifre incommensurabilmente maggiori rispetto a quelle europee.
Forte, inoltre, è l'impegno della Chiesa nel settore sanitario: in Camerun ci sono 28 ospedali e 235 ambulatori cattolici, in Angola 23 ospedali e 269 ambulatori. Nosocomi e infermerie dove si cura l'Aids con metodi controversi. Perché la Chiesa Cattolica insiste tanto sulla morale anteponendola ai tentativi di soluzione concreta per questi problemi cruciali dell'umanità? "Insistiamo veramente tanto sulla morale?", ha avuto a rispondere il Papa un paio di anni fa. "Io direi - me ne sono convinto sempre più anche nel dialogo con i Vescovi africani - che la questione fondamentale, se vogliamo fare dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione, formazione. Credo che dovrebbe venire corretta l'immagine secondo cui seminiamo attorno a noi solo dei rigidi 'No'. Proprio in Africa si opera molto, perché le diverse dimensioni della formazione si possano integrare e così diventi possibile il superamento della violenza e anche delle epidemie, fra cui bisogna contare anche la malaria e la tubercolosi". Non mancano poi i rivolgimenti politici e le guerre. Come in Angola. Nel 1992 vi andò Giovanni Paolo II. "Direi che la sua visita fu un barlume di speranza, perché si era appena fatta la pace e il suo grido fu 'mai più la guerra'", ricorda oggi il nunzio apostolico, mons. Giovanni Angelo Becciu. "Infelicemente non fu ascoltato e il Paese cadde in un baratro terribile, ancora più terribile della prima fase, per cui fu un momento di grande speranza, ma che durò poco, infelicemente". E oggi Papa Ratzinger torna in Africa - è il suo secondo viaggio nel continente africano, il primo da Pontefice - con preoccupazioni e speranze. Problemi concreti che però Benedetto XVI intende affrontare da "pellegrino". Un compito che sarebbe più semplice se la copertura dei 'network' e delle testate giornalistiche dessero rilievo ad un viaggio che, invece, rischia di finire nel cono d'ombra. Non solo perché sono altri i temi sui quali si è concentrata l'attenzione pubblica di questi giorni. Il viaggio papale potrebbe essere penalizzata anche per problemi strutturali ed economici. Come i pochi collegamenti televisivi di un continente obiettivamente povero o la complessità di paesi pieni poco battuti abitualmente da telecamere e microfoni. Gli africani, di certo, si stanno mobilitando per incontrare Papa Ratzinger, così come fecero nei 16 viaggi africani di Papa Wojtyla e così come farebbero per ogni Papa. "La commissione della Conferenza Episcopale ha già tantissime richieste per la Messa che si terrà giovedì 19 marzo, festa di San Giuseppe. Stanno facendo di tutto per potere accogliere così tante richieste", racconta ai microfoni di Radio Vaticana il nunzio apostolico in Camerun, mons. Eliseo Antonio Ariotti. Gli fa eco il nunzio in Angola: "Loro vedono l'uomo di Dio. 'Seremos abençoados', dicono: 'Saremo benedetti'. Sanno che quest'uomo porterà la benedizione. Questo basta - aggiunge - ma è chiaro che le parole che rivolgerà il Papa saranno parole di speranza, saranno parole di incoraggiamento e saranno parole che li confermerà nella fede".