martedì 25 agosto 2009

La vita delle benedettine del monastero Mater Ecclesiae in Vaticano: monache per vocazione, e per il Papa anche contadine e sarte

È tempo di bilanci per la piccola comunità benedettina di sette suore del monastero Mater Ecclesiae (nella foto con Benedetto XVI), dopo cinque anni di permanenza in Vaticano. Anni vissuti come una chiamata a servire più da vicino il Papa, fedeli al carisma dell’ora et labora racconta all’Osservatore romano la badessa madre Maria Sofia Cichetti. Dall’orto - “coltivato in modo naturale, concimato con letame e non con sostanze chimiche” sottolinea la badessa - vengono “verdura e legumi per il Papa e per la comunità. L’orto ci fornisce pomodori, peperoni, zucchine, cavoli, odori, menta”. Non ci sono molte piante da frutto “solo alberi di limoni e d’arance, dalle quali ricaviamo la marmellata con una ricetta tipica del nostro monastero. Questa confettura non è vendita, ma la doniamo al Papa, che la gradisce molto, e ai nostri benefattori”. C’è anche un giardino dove “coltiviamo i fiori che mettiamo in chiesa per il servizio liturgico. Crescono soprattutto rose di due varietà: Beatrice d’Este, di color carne, e Giovanni Paolo II, bianche e profumate. In maggio ogni settimana le mandiamo al Papa. Sappiamo che le gradisce molto”. Le monache eseguono anche traduzioni, ricami su oggetti liturgici, miniature e pergamene. “Questi lavori ci permettono di avere delle entrate, in modo che noi stesse abbiamo la gioia di pensare al nostro sostentamento. Un altro lavoro che eseguiamo molto volentieri e che ci onora è la cura della talare bianca del Papa”.
Benedetto XVI lo hanno incontrato tre volte: il 2 luglio 2005, il 21 marzo 2006 e l’ultima il 3 luglio 2009. “È venuto a celebrare la Messa nella nostra cappella”. E hanno “intessuto molte amicizie anche con persone generose. Siamo veramente commosse di questa bontà. Abbiamo ricevuto in dono tante cose, soprattutto viveri, oltre a mobili e oggetti vari. Non abbiamo voluto accumulare cose superflue e perciò abbiamo deciso di condividere tutto con i più poveri. (...) Conosciamo anche delle famiglie che in questi tempi di crisi hanno bisogno di aiuto e quindi condividiamo con loro quanto ci viene dato”. Un’altra esperienza significativa è stata “l’ospitalità nei riguardi dei fratelli che hanno bussato alla nostra porta. Molte persone sono venute per chiedere consiglio, preghiere e, soprattutto, per essere accolte e ascoltate. Notiamo che nel mondo di oggi c’è poco tempo per l’ascolto: si corre, si ha troppa fretta. A volte le persone avevano bisogno solo che qualcuno fraternamente ascoltasse le loro pene, le loro difficoltà. Abbiamo così intessuto delle amicizie che continueremo a coltivare con la preghiera quando torneremo a casa”. Altro elemento positivo è stata “l’ospitalità offerta ai gruppi di ogni Paese venuti a pregare nella nostra cappella”.

Il Velino