sabato 13 marzo 2010

Intervista ad 'Avvenire' di mons. Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui casi di pedofilia dei sacerdoti

"Solo col Motu Proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio nell’affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, si­ne acceptione personarum (senza riguardi per nessuno). Quindi accusare l’attuale Pontefice di occulta­mento è, ripeto, falso e calunnioso". Ad affermarlo, in un'intervista ad Avvenire, mons. Charles J. Scicluna, Promotore di giustizia del dicastero vaticano, che guida il gruppo di lavoro ed è quindi il 'pubblico ministero' del tribunale dell'ex Sant'Uffizio che ha il compito di indagare proprio sui delicta graviora. L'intervista, tradotta in cinque lingue, è stata significativamente distribuita questa mattina dalla Sala Stampa vaticana, che la segnala ''perchè risponde a molte delle domande poste recentemente dai giornalisti''. Quando in una diocesi arriva una segnalazione di abuso, spiega il vescovo illustrando la 'procedura penale' del Vaticano, ''se l'accusa è verosimile il vescovo ha l'obbligo di investigare sia l'attendibilità della denuncia che l'oggetto stesso della medesima. E se l'esito di questa indagine previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall'ufficio disciplinare''. ''Oltre al sottoscritto - prosegue mons. Scicluna -, che essendo uno dei superiori del dicastero, si occupa anche di altre questioni, c'è un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici ed un penalista laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della Congregazione prestano il loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza''. In Italia, il fenomeno della pedofilia dei preti ''non sembra abbia dimensioni drammatiche'', anche se ''preoccupa'' una ''certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola''. La CEI, precisa il vescovo, offre comunque ''un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi segnalati loro''. Il procuratore vaticano risponde poi alle accuse, arrivate negli anni passati dagli Stati Uniti e riemerse recentemente anche in Germania, che il Vaticano avrebbe costruito un ''muro di silenzio'' per proteggere i preti pedofili, vietando la loro denuncia alla giustizia civile, con la ''ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis''. Mons. Scicluna ne ricostruisce la genesi, che risale al 1922 e non, come generalmente ritenuto, al 1962. ''La prima edizione - spiega il vescovo - risale al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant'Uffizio ne curò una nuova edizione per i padri Conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l'abuso sessuale di minori...''. Per mons. Scicluna, ''una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto - come chiunque - alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo. La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili''. Dal 2001 al 2010 sono state complessivamente 3000 le segnalazioni di 'delicta graviora' commessi negli ultimi 50 anni da preti arrivate alla Congregezione per la Dottrina della Fede. Dei 3000 casi segnalati, mons. Scicluna sottolinea che solo per una minoranza del 10% si tratta di casi di ''vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi''. C'è poi un 60% di casi di efebofilia, ''cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso'', e un 30% di rapporti eterosessuali. ''I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni - sottolinea il procuratore vaticano -. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere''. Di questi casi, ''un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si è svolto nel 20% dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza - sempre sotto la nostra supervisione - e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo così anche per una maggiore speditezza dell'iter''. In un 60% dei casi, invece, per l'età avanzata degli accusati, non c'è stato processo, nei cui confronti sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l'obbligo a non celebrare Messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e di preghiera. ''E' bene ribadire - precisa mons. Scicluna - che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente eclatanti di cui si sono occupati i media'', come quello del fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado, ''non si tratta di assoluzioni. Certo non c'è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera qualche motivo ci sarà...''. In un 10% di casi particolarmente gravi e con prove schiaccianti,il Papa ha firmato la dimissione dallo stato clericale del prete accusato, ''un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile'', mentre nel restante 10% ''sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio'', ''prontamente accettata''. Quanto alla provenienza delle segnalazioni di abusi, negli anni 2003-2004 quelle proveniente dagli Usa rappresentavano circa l'80% del totale di casi, mentre nel 2009 lo 'share' statunitense è sceso a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. ''Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi segnalati alla Congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi'', spiega mons. Scicluna, a fronte di un numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. ''Questo dato statistico - aggiunge - non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali''. Nella maggior parte dei casi, i processi ''sono finiti con una condanna dell'accusato. Ma non sono mancati quelli dove il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le accuse non sono state ritenute sufficientemente provate''. Ingiusto, quindi, accusare la giustizia vaticana di lentezza: smaltita la valanga di segnalazioni arrivate dagli Usa nel 2003 e 2004, ''negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale'', conclude Scicluna. ''In alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia - spiega il procuratore vaticano -, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all'autorità giudiziaria''. Anche se è un ''dovere gravoso'', paragonabile a quello di un ''genitore che denuncia un proprio figlio'', ''la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge''. Dove invece non c'è l'obbligo della denuncia, il Vaticano non impone ''ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime''. ''Inoltre - prosegue mons. Scicluna - li invitiamo a dare tutta l'assistenza spirituale, ma non solo spirituale, a queste vittime''. Il vescovo fa l'esempio di un ''recente caso riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano'': ''E' stata proprio questa Congregazione a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell'interesse delle vittime e per evitare altri reati''. Il 'procuratore vaticano' è favorevole all'abolizione della prescrizione di dieci anni per i reati più gravi commessi dai chierici, introdotta, dal Motu Proprio del 2001 ''Sacramentorum sanctitatis tutela''. Quello della prescrizione è, per mons. Scicluna, un ''punto dolente''. ''In passato - spiega -, cioè prima del 1898, quello della prescrizione dell'azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il Motu Proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni''. Per il procuratore vaticano, la prassi indica oggi che ''il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell'imprescrittibilità dei delicta graviora''. ''Il 7 novembre 2002 - precisa - il Servo di Dio Venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa''.