lunedì 21 giugno 2010

Sepe prova a chiarire in una lettera alla diocesi di Napoli la vicenda. Secondo il cardinale il Papa gli avrebbe chiesto di rimanere in Vaticano

"Io non ho paura di niente e di nessuno. Ma perdono quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi". L'arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, risponde con tenacia e apparente serenità alle accuse che gli vengono mosse dalla magistratura. Per ora la difesa è affidata ad una lettera alla diocesi di Napoli che ha esposto ai giornalisti nel palazzo arcivescovile in largo Donnaregina a Napoli. Argomentazioni che poi tra alcuni giorni, "nelle sedi opportune", ribadirà davanti ai pm di Perugia, con l'ausilio dell'avvocato Bruno von Arx. Sepe legge una missiva e si rivolge, come in un'omelia, ai fedeli della sua diocesi che in queste ore non gli hanno fatto mancare affetto e appoggio. Ma allo stesso tempo, nella lettera c'è spazio anche per un elenco freddo e quasi notarile in cui il presule ordina la sua verità rispetto alle tre accuse che i pm gli hanno contestato: il caso Bertolaso, la palazzina di Lunardi, e i lavori in piazza di Spagna a Roma. La disponibilità di una casa per Guido Bertolaso fu chiesta dal professor Francesco Silvano al card. Sepe, che incaricò lo stesso collaboratore di trovarne una, senza però esser poi messo a conoscenza nè dell'ubicazione nè delle modalità con cui l'appartamento fu concesso. Lo ha spiegato lo stesso Sepe in conferenza stampa a Napoli. "L'esigenza" di una casa per Bertolaso, ha detto l'arcivescovo, "mi venne rappresentata dal dottore Francesco Silvano. In prima istanza, gli feci avere ospitalità presso il seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso dottor Silvano di trovare altra soluzione". Soluzione della quale, prosegue Sepe, "non mi sono più occupato nè sono venuto a conoscenza sia in ordine alla ubicazione sia in ordine alle intese e alle modalità". "Come è stato scritto sui giornali - ha concluso Sepe - Bertolaso aveva bisogno di vivere in un ambiente più sereno poichè aveva qualche difficoltà". L'ex presidente del Consiglio dei Lavori pubblici Angelo Balducci, l'attuale presidente del Consiglio di Stato Pasquale De Lise e il professor Francesco Silvano: sono le tre persone alle quali il card. Sepe si rivolse "sempre" per le consulenze relative agli immobili di Propaganda Fide. "Mi sono sempre avvalso - scrive Sepe - della consulenza specifica di tre persone che avevano titoli ed esperienza per assicurarmi, in ragione della loro attività professionale, un qualificato contributo di pensiero e di soluzione". Si tratta del "dottor De Lise, magistrato, del dottor Balducci, all'epoca provveditore alle opere pubbliche del Lazio, del dottore Silvano, amministratore dell'ospedale Bambin Gesù, mio collaboratore già durante il Giubileo". "La somma, incassata peraltro immediatamente, venne trasferita all'Amministrazione patrimonio sede apostolica (Apsa), affinchè fosse destinata a tutta l'attivatà missionaria nel mondo". Sepe sottolinea che si trattava "di un immobile che presentava in maniera evidente e seria, segni di vecchiaia e di precarietà, rappresentati più volte anche dagli stessi inquilini". "Fu disposto un sopralluogo ricognitivo eseguito dai tecnici della congregazione - ha aggiunto - i quali fecero anche una valutazione dei lavori necessari, preventivando anche la spesa che fu ritenuta troppo onerosa per le casse della congregazione, per cui venne presa in considerazione l'opportunità della vendita, ponendosi a carico del futuro acquirente l'onere della ristrutturazione". Solo successivamente, spiega Sepe, gli fu riferito che "l'onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse all'acquisto e fu avviata una trattativa che si concluse sulla base della valutazione fatta" sia dai tecnici della Congregazione che da quelli di "un istituto di credito, per la concessione di un mutuo". "Ho fatto tutto avendo i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli affari economici e dalla Segreteria di Stato la quale con una lettera inviatami a conclusione del mio mandato di prefetto volle finanche esprimere apprezzamento e stima per la gestione amministrativa". Sui lavori di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di propaganda Fide in Piazza di Spagna, Sepe puntualizza: "Lo stabile aveva subito una modificazione strutturale nel senso che era stato registrato un notevole distacco della parete determinato, secondo gli accertamenti tecnici effettuati, da infiltrazioni di acqua sotto il fabbricato e dalle continue vibrazioni causate dal passaggio della vicina metropolitana". "Fu accertata - ha continuato - la competenza dello Stato italiano e furono eseguiti lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione". Indirettamente, l'arcivescovo di Napoli risponde anche a quanti hanno sussurrato in questi giorni che il suo trasferimento nel 2006 sotto il Vesuvio fu in realtà una "retrocessione" voluta dalle alte sfere del Vaticano. "Papa Benedetto XVI in persona - dice Sepe - mi chiese con una certa insistenza di rimanere a Roma, ma io ero ben contento di poter svolgere attività pastorale nella mia terra. Gli feci presente che volevo passare a Napoli gli ultimi anni della mia vita, tra la mia gente". Stando alle parole dell’arcivescovo di Napoli, il Papa gli ricordò che avrebbe potuto svolgere quel ruolo "ancora nella curia romana. Ma io ero felice - ha sottolineato Sepe - di aver scelto di ubbidire allo Spirito che mi inviava in questa nostra amata terra". Il porporato ha infine terminato così la lettera: "Vado avanti con serenità, accetto la croce e perdono, dal profondo del cuore, quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi". "Guardo, con rinnovata fiducia a Cristo che servo, senza risparmiarmi - ha aggiunto - nella sua santa Chiesa, sempre perseguitata". Il finale, è quello classico delle sue omelie: "A Madonna v'accumpagna".

Corriere del Mezzogiorno.it, Ansa