Udienza Generale questa mattina in Piazza San Pietro, dove Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi il Papa, continuando il ciclo sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sulla figura di Giacobbe, nel Libro della Genesi.
Una notte buia, un uomo che si muove col favore delle tenebre perché ha qualcosa sulla coscienza da farsi perdonare e cerca nell’ombra un’alleata per la propria scaltrezza. E poi, l’imprevisto: uno sconosciuto che balza fuori e lo aggredisce, impegnandolo in una lotta senza quartiere che durerà l’intera nottata. Sono gli elementi narrativi dell’episodio descritto nella Genesi, dal quale Benedetto XVI ha tratto spunto per la sua catechesi. L’uomo che agisce di nascosto è Giacobbe, che sta tentando di rientrare nella sua terra dopo esserne fuggito, avendo sottratto la primogenitura a suo fratello Esaù e strappato con l’inganno la benedizione al padre cieco. Ora Giacobbe torna di nascosto, ma mentre sta per attraversare il guado dello Yabboq, l’aggressore manda a monte i suoi piani: “Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata”. Lo scambio di colpi è duro e le sorti del corpo a corpo mutevoli. Giacobbe, ha spiegato il Papa, non riesce a distinguere nel buio il suo aggressore. Ma alla fine riesce a sopraffarlo. Per lasciarlo andare, Giacobbe pretende che l’avversario gli conceda la sua benedizione, la stessa, ha osservato Benedetto XVI, che aveva estorto al padre. L’aggressore chiede prima a Giacobbe quale sia il suo nome e questi glielo dice: “Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino. Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare”. La scena, ha affermato il Papa, si è ribaltata. Il vincitore dello scontro “si mette nelle mani del suo oppositore” e da lui “riceve un nome nuovo”. Il nome Giacobbe, ha spiegato Benedetto XVI, richiamava il verbo “ingannare”, ma ora il nome nuovo che gli dà Dio, perché è Lui il misterioso assalitore, è quello di “Israele”, che vuol dire “Dio è forte, Dio vince”. “Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l’avversario stesso ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa”. Il brano scelto da Papa Ratzinger non è di facile interpretazione, e ''le spiegazioni che l'esegesi biblica può dare riguardo a questo brano sono molteplici''; ma ''quando questi elementi vengono assunti dagli autori sacri e inglobati nel racconto biblico, essi cambiano di significato e il testo si apre a dimensioni più ampie''. Benedetto XVI ha spiegato che ''l'episodio della lotta allo Yabboq si offre così al credente come testo paradigmatico in cui il popolo di Israele parla della propria origine e delinea i tratti di una particolare relazione tra Dio e l'uomo''. Di conseguenza “la tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza''. Il testo biblico “ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono”. Per questo motivo, ha aggiunto Benedetto XVI, la lotta di Giacobbe diventa ”un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione. La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibile". "Per questo l'autore sacro utilizza il simbolo della lotta, che implica forza d'animo, perseveranza, tenacia nel raggiungere ciò che si desidera. E se l'oggetto del desiderio - ha detto ancora - è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio''. ''Tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera, da consumare nel desiderio e nella richiesta di una benedizione di Dio che non può essere strappata o vinta contando sulle nostre forze, ma deve essere ricevuta con umiltà da Lui, come dono gratuito che permette, infine, di riconoscere il Volto del Signore''. ''Giacobbe, che riceve un nome nuovo, diventa Israele, dà un nome nuovo anche al luogo in cui ha lottato con Dio, lo ha pregato, lo rinomina Penuel, che significa 'Volto di Dio''', ha spiegato Papa Ratzinger. ''Colui che si lascia benedire da Dio - ha concluso -, si abbandona a Lui, si lascia trasformare da Lui, rende benedetto il mondo. Che il Signore ci aiuti a combattere la buona battaglia della fede e a chiedere, nella nostra preghiera, la sua benedizione''.
Tra i saluti ai 15 mila presenti in Piazza San Pietro, da rilevare quello indirizzato da Benedetto XVI in lingua inglese al gruppo di militari statunitensi feriti in azione in Afghanistan e Iraq. Il gruppo fa parte dell'Associazione dei ''Wounded Warriors'', che si occupa di assistere i reduci e di aiutarli a reinserirsi nella società. Il Papa ha assicurato loro “solidarietà nella preghiera”.
Radio Vaticana, AsiaNews, Asca
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa