Il 7 luglio di due anni fa, in un’affollatissima Sala Stampa vaticana, i cardinali Renato Raffaele Martino e Paul Josef Cordes presentavano ai media internazionali la prima Enciclica sociale di Benedetto XVI, la "Caritas in veritate". Immediate furono le reazioni in tutto il mondo per un documento che, nel solco della "Populorum Progressio" di Paolo VI, enunciava, uno ad uno, i grandi principi necessari a uno sviluppo solidale dell’umanità agli inizi del XXI secolo. Il giorno dopo, un mercoledì, Benedetto XVI dedicava l’intera catechesi dell’Udienza generale alla spiegazione della sua terza Enciclica. La forza della globalizzazione e la forza della disuguaglianza. Da un lato, il montare dell’impulso che, tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila, spinge economie, politiche e culture a maggiori relazioni, scambi, integrazioni. Dall’altro, il dilagare di un moto propulsore opposto, che causa dolorosi paradossi in un mondo globalizzato ma non per questo migliore: spregiudicatezze finanziarie per lo più speculative, diritti umani “che impazziscono” per l’assenza di doveri, eccessiva fiducia nelle risorse di una tecnologia, cui spesso manca il battito di un cuore. Scrive Benedetto XVI nell’Enciclica: “Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità”. Come si riequilibrano allora queste due forze? Con una terza, la forza della carità, spiega il Papa: “La carità nella verità è quindi la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. Per questo, attorno al principio Caritas in veritate, ruota l’intera dottrina sociale della Chiesa. Solo con la carità, illuminata dalla ragione e dalla fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di valenza umana e umanizzante”.
In altre parole, il mondo non migliora se, al fondo di una qualsiasi idea o azione, non vi è il genuino amore per l’essere umano; un tipo di amore la cui gratuità ha origine squisitamente divina e incarnazione tipicamente cristiana, sorretto com’è dalla logica del dono. Una logica, afferma Benedetto XVI, che sul piano concreto deve ispirare valori precisi: “Due sono quindi i criteri operativi, la giustizia e il bene comune; grazie a quest’ultimo, la carità acquista una dimensione sociale. Ogni cristiano – dice l’Enciclica – è chiamato a questa carità, ed aggiunge: ‘E’ questa la via istituzionale...della carità’”. La "Caritas in veritate" si sofferma via via su quei “grandi principi - dice il Papa - che si rivelano indispensabili per costruire lo sviluppo umano dei prossimi anni”: “Tra questi, in primo luogo, l’attenzione alla vita dell’uomo, considerata come centro di ogni vero progresso; il rispetto del diritto alla libertà religiosa, sempre collegato strettamente con lo sviluppo dell’uomo; il rigetto di una visione prometeica dell’essere umano, che lo ritenga assoluto artefice del proprio destino. Un’illimitata fiducia nelle potenzialità della tecnologia si rivelerebbe alla fine illusoria. Occorrono uomini retti tanto nella politica quanto nell’economia, che siano sinceramente attenti al bene comune”.
In particolare, soggiunge Benedetto XVI, “guardando alle emergenze mondiali, è urgente richiamare l’attenzione della pubblica opinione sul dramma della fame e della sicurezza alimentare, che investe una parte considerevole dell’umanità”: “Un dramma di tali dimensioni interpella la nostra coscienza: è necessario affrontarlo con decisione, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. Sono certo che questa via solidaristica allo sviluppo dei Paesi più poveri aiuterà certamente ad elaborare un progetto di soluzione della crisi globale in atto”.
Da rivalutare “attentamente”, osserva ancora il Papa, è “il ruolo e il potere politico degli Stati, in un’epoca in cui esistono di fatto limitazioni alla loro sovranità a causa del nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale”. Parole che in 24 mesi non hanno perso nulla del loro impatto. Come pure l’appello a una “seria riflessione” sul senso e le finalità dell’economia. “Lo esige – riconosce il Papa – lo stato di salute ecologica del pianeta; lo domanda la crisi culturale e morale dell’uomo che emerge con evidenza in ogni parte del globo”.
“L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; ha bisogno di recuperare l’importante contributo del principio di gratuità e della 'logica del dono' nell’economia di mercato, dove la regola non può essere il solo profitto. Ma questo è possibile unicamente grazie all’impegno di tutti, economisti e politici, produttori e consumatori e presuppone una formazione delle coscienze che dia forza ai criteri morali nell’elaborazione dei progetti politici ed economici”.
E la stessa riflessione, Benedetto XVI la chiede per i mezzi di comunicazione sociale per il potenziamento del dialogo tra culture e tradizioni diverse, esortando l’umanità ad adottare “un diverso stile di vita”, giacché si è sul pianeta “una sola famiglia” e dunque c’è bisogno di legami di fraternità e di sussidiarietà, oltre che di norme che disciplinino diritti e doveri: “Il Vangelo ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo...per questo ogni programma di sviluppo deve tener presente, accanto a quella materiale, la crescita spirituale della persona umana, che è dotata appunto di anima e di corpo. E’ questo lo sviluppo integrale, a cui costantemente la dottrina sociale della Chiesa fa riferimento, sviluppo che ha il suo criterio orientatore nella forza propulsiva della ‘carità nella verità’”.
Radio Vaticana
Udienza generale, 8 luglio 2009, Caritas in veritate
SPECIALE ENCICLICA 'CARITAS IN VERITATE'