di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione dell’Unità dei Cristiani
Già nel suo primo messaggio dopo l’elezione al pontificato, Benedetto XVI definiva come suo "impegno primario" il compito di "lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo". È normale dunque che, già durante i primi due viaggi in Germania, si siano tenuti incontri ecumenici: nel 2005 a Colonia e nel 2006 a Ratisbona. Il prossimo viaggio avrà un accento ecumenico particolare, poiché Benedetto XVI visiterà anche Erfurt, dove il riformatore Martin Lutero visse come monaco agostiniano: il Papa incontrerà rappresentanti del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania e officerà una celebrazione ecumenica. Con Benedetto XVI, si reca in Germania un Papa che, per la sua esperienza personale, conosce benissimo questo importante Paese della Riforma e che, sia come teologo sia come cardinale, si è molto adoperato per la promozione del dialogo ecumenico in Germania e a livello mondiale. Ricordiamo, a titolo d’esempio, l’importante ruolo svolto dal card. Ratzinger nella Commissione Ecumenica Congiunta istituita dopo il viaggio di Giovanni Paolo II in Germania nel 1980 e co-presieduta dal card. Ratzinger insieme al vescovo protestante Eduard Lohse. Da essi fu allora avanzata la proposta, che dette poi i suoi frutti nei decenni successivi, di avviare nei dialoghi ecumenici uno studio volto a definire se le reciproche condanne dottrinali del XVI secolo avessero ancora un impatto sui partner di dialogo e continuassero a dividere le Chiese. Al riguardo, l’allora vescovo protestante Johannes Hanselmann ha ricordato con gratitudine che al card. Ratzinger va ascritto il grande merito di aver fatto sì che, dopo varie difficoltà, la Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione potesse infine essere firmata ad Augsburg nel 1999. Questo impegno ecumenico è stato sempre accompagnato da un’intensa riflessione teologica su tematiche ecumeniche, a cui Joseph Ratzinger ha rivolto un’attenzione particolare fin dai tempi in cui era professore universitario. Il grande capitolo sull’ecumenismo nel volume della sua "Opera omnia" dedicato alla dottrina della Chiesa è una testimonianza eloquente della fondatezza di quanto affermato nell’ampia tesi del teologo protestante Thorsten Maasen, pubblicata quest’anno su "Il pensiero di Joseph Ratzinger sull’ecumenismo", in cui si dice che il Papa è "esemplare nel suo sforzo di praticare senza compromessi una teologia ecumenica onesta" e che "ha posto l’accento con tale forza" sulla necessità dell’ecumenismo, che "esso dovrà trovare saldamente il suo posto al centro della Chiesa/delle Chiese". Difatti, per Benedetto XVI, l’ecumenismo ha un ruolo centrale nella Chiesa e nella teologia. Si può dunque comprendere che egli lo veda oggi minacciato su due fronti: da un lato, da un "confessionalismo della divisione", che si fissa su ciò che ha di specifico proprio laddove questa sua specificità si contrappone a quella di altri e, dall’altro lato, da un’"indifferenza su questioni di fede", che considera la ricerca della verità come un ostacolo all’unità. L’esistenza di entrambi i pericoli non può essere oggi negata da nessuno. Questo rende ancora più importante rintracciare nell’ecumenismo la profondità della fede. Esso può infatti crescere in ampiezza soltanto se si radica in profondità. Chi compie un simile percorso in profondità, riesce, come fa Benedetto XVI, a vedere all’opera nelle divisioni storiche della Chiesa non solo i peccati umani, ma, nel senso delle misteriose parole di San Paolo, il quale dice che "è necessario" che avvengano le divisioni (1 Cor 11, 19), vi percepisce anche una dimensione "che corrisponde ad un disegno divino". In questa convinzione di fede, il Papa ha esortato con forza crescente a trovare l’unità innanzitutto "attraverso la diversità", il che significa estrarre il veleno dalle divisioni, accogliere ciò che in esse è fruttuoso e prendere il positivo proprio dalla diversità, naturalmente nella speranza che la divisione alla fine cessi di essere tale. Infatti, "l’amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme". Poiché Benedetto XVI è convinto che noi come cristiani possiamo «essere una sola cosa anche se separati", egli ci mostra l’ecumenismo sempre più alla luce del suo compimento, affinché riconosciamo il carattere provvisorio delle nostre stesse azioni e non ci ostiniamo a voler fare ciò che può realizzare solo il Cristo della parusia. Il senso, semplice ma fondamentale, dell’ecumenismo risiede nel fatto che "in cammino verso Cristo, siamo in cammino verso l’unità" e in una società sempre più secolarizzata abbiamo il compito comune di testimoniare Dio, che ci ha rivelato il suo volto in Gesù Cristo. Chi, in questo senso, capisce che il fondamento dell’ecumenismo non è semplicemente interrelazionale e filantropico, ma profondamente cristologico, intende l’ecumenismo come una partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù stesso, "perché tutti siano una sola cosa" (Gv 17, 21). In questa profondità della fede, ci troviamo già nello spazio vitale dell’ecumenismo. Infatti agisce ecumenicamente non tanto colui che ha sempre sulla bocca questa parola, quanto colui che, anche senza proferirne il termine, scende nella profondità della confessione cristologica e là trova la sorgente comune dell’unità della Chiesa. Benedetto XVI percorre coerentemente questo cammino non solo nel suo magistero quotidiano, ma anche con la sua pubblicazione in due volumi su Gesù di Nazaret, che può essere letta come confessione di fede del successore di Pietro. Radicando nella confessione cristologica il compito ecumenico della ricerca dell’unità visibile dei discepoli di Cristo, egli si lascia guidare da una visione cristologica dell’ecumenismo. Di ciò si rallegrerebbe di cuore Martin Lutero. Abbiamo buoni motivi per aspettarci che i suoi eredi facciano oggi lo stesso.
L'Osservatore Romano