Dal 6 gennaio ad oggi sono stati molti gli articoli di commento alla scelta del Papa per la creazione di 22 nuovi cardinali. Autorevoli e conosciute firme hanno “rivelato” sconcertanti intrighi di palazzo, manovre da “voto di scambio”, traffici di favori e altre considerazioni più o meno verificabili. Ma poche volte si è letto che alla fin fine la scelta è una scelta dal Papa. Come sempre. Lo penso da molto: ogni volta che si vuole “difendere” un Papa accusando di ogni nefandezza i suoi più stretti collaboratori in effetti lo si attacca. Personalmente credo che la Curia sia difficile da governare. Come tutti le strutture umane (la Curia non va confusa con la Chiesa Cattolica) ci sono miserie e virtù che si intrecciano più o meno consapevolmente. E così un Papa, qualunque Papa, deve cercare di capire, conoscere e guidare una “macchina di governo” non facile e del tutto particolare. Le valutazioni in gioco per la creazione di nuovi cardinali sono moltissime. Dalla banale valutazione delle “sedi vacanti”, dei ruoli cioè che sono normalmente, anche se non obbligatoriamente, ricoperti da un porporato, fino alla scelta personale di un Papa di avere nel suo “senato” alcuni persone che non necessariamente poi contribuiranno ad eleggere un suo eventuale successore, cioè i cardinali non elettori. Scelte non sempre facili e spesso condizionate da valutazioni che rimangono chiuse nel segreto di chi le fa. La “legge” che gestisce la Curia romana è la Costituzione Apostolica "Pastor Bonus" firmata da Giovanni Paolo II nel 1988. Da allora però in effetti non sempre la vita quotidiana ha seguito quelle indicazioni. In effetti la Costituzione metteva a punto le riforme fatte da Paolo VI, e permetteva la stesura di un “regolamento della Curia romana” che venne pubblicato nel 1992. Da allora si parla spesso di una “riforma” della Curia, ma è ovvio che salvo qualche aggiustamento, non è certo una impresa semplice da realizzare. Così Benedetto XVI ha scelto di creare cardinali nel prossimo Concistoro una serie di uomini di Curia, alcuni residenziali e tre studiosi di grande fama, che lo hanno sostenuto in quello che reputa il suo compito più urgente: offrire alla Chiesa delle riflessioni teologiche che possano aiutare i vescovi nel loro lavoro pastorale. Le altre considerazioni sono fin troppo legate a ragionamenti molto umani e spesso legati ad interessi particolari che, del resto, sono antichi e vecchi. E in fondo non era già Paolo VI a parlare del “fumo di Satana” che entra nella Chiesa da qualche fessura? Sono passati 30 anni da quel giorno di giugno in cui il Papa ne parlò, e magari al di là di tesi su massoneria e satanismo si potrebbe pensare a peccati molto più banali.
Angela Ambrogetti, Il Portone di Bronzo