lunedì 2 gennaio 2012

Trasparenza finanziaria e Santa Sede. Cronaca di un anniversario. Il 30 dicembre 2010 il Motu Proprio per la prevenzione e il contrasto di illegalità

Un anno fa, era il 30 dicembre 2010, tra le notizie più rilevanti, per osservatori vaticani e non, c’era la pubblicazione del Motu Proprio di Benedetto XVI per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario, con il quale viene estesa alla Santa Sede la Legge vaticana n. CXXVII concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo, adottata dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, e con la quale, tra l’altro, viene creata l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), un organismo simile alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF) di altri Paesi compresa l’Italia. Tra le competenze della nuova Autorità quella della vigilanza sull’attuazione della nuova normativa. Per alcuni osservatori, una vera e propria “rivoluzione” per la cosiddetta “finanza vaticana” evocativa, a torto o a ragione, di suggestioni connesse all’Istituto per le Opere di Religione (IOR). A seguito dell’adozione della nuova normativa, la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano hanno iniziato un complesso percorso di adeguamento allo standard internazionale stabilito dalle Raccomandazioni del Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI) del Fondo Monetario Internazionale. Si tratta del percorso che dovrebbe condurre all’inserimento della Santa Sede nella cosiddetta “white list” degli stati “virtuosi” in materia finanziaria. Da poco i commissari del Consiglio d’Europa hanno svolto la visita sul luogo in Vaticano. Ma la notizia non sembra avere interessato gli analisti e l’opinione pubblica. Eppure, il Motu Proprio diffuso un anno fa ha rappresentato in qualche modo il cambiamento di un’era. Prima, il Vaticano non aveva un’Autorità di Informazione Finanziaria. Prima, i confini del Vaticano erano solo con l’Italia, e le convenzioni monetarie si facevano direttamente con l’Italia. La lira vaticana non era la lira internazionale, ma la lira italiana. L’arrivo dell’Europa ha cambiato tutto. E non lo ha fatto solo con Città del Vaticano. Ma solo con il Vaticano il dibattito ha avuto un risalto mediatico senza precedenti. Concentrandosi soprattutto sulla questione dello Ior. Ma lasciando trasparire, a detta di alcuni addetti ai lavori, altri obiettivi. Come, ad esempio, la sovranità stessa dello Stato di Città del Vaticano. Con l’obiettivo, alla lunga, di minare l’importanza diplomatica della Santa Sede. Per comprendere come le cose si sono evolute, si deve andare indietro nel tempo, fino al febbraio del 2009. La Commissione Europea fa sapere che le Convenzioni monetarie con Vaticano, San Marino e Monaco dovevano essere riviste. Se i tre Stati intendevano rimanere all’interno del sistema monetario europeo, dovevano uniformarsi alle nuove norme e procedure, in particolare in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Non solo, andavano ridefiniti i tetti per il conio di euro da parte dei tre Paesi. A tal fine andavano stabilite delle Commissioni bilaterali ad hoc. È da febbraio del 2009 che i tecnici del Vaticano, insieme a quelli della Commissione europea (l’Italia ha il solo ruolo di osservatore), si mettono in moto per definire la nuova Convenzione monetaria. Le condizioni dell’Unione Europea appaiono subito molto restrittive. I rapporti con l’Europa sono tesi. C’è la volontà, da parte del Vaticano, di mantenere la propria autonomia, e dunque ogni virgola dell’accordo deve essere ben pesata. Ma è il tempo che stringe. Mons. Carlo Maria Viganò, allora Segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, propose addirittura sganciare la Santa Sede dalla zona euro, per evitare di subire a condizioni considerate troppo restrittive. Scelta per certi versi profetica considerato lo stato attuale dell’euro e la scelta di Paesi come la Gran Bretagna di fuoriuscire dalla zona. Si pensa anche a non chiudere tutto entro l’anno, ma a slittare l’accordo al 2010. Sono ipotesi che tuttavia non ottengono il consenso nelle gerarchie della Santa Sede. I costi in termini politici ed economici sarebbero stati per alcuni troppo alti. Tra questi la sospensione del conio di monete e dell’emissione di francobolli, tra le principali fonti di entrate per lo Stato della Città del Vaticano. Troppo complicato. Si arriva quindi alla firma della Convenzione monetaria con l’Unione Europea il 17 dicembre 2009. Anche in questo caso, la tensione è altissima. Dovrebbero firmarla contestualmente Joaquin Almunia, commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, e mons. André Dupuy, Nunzio apostolico presso l’Unione Europea. Ma Almunia rifiuta di firmare nella stessa stanza con il rappresentante pontificio, e così avviene che ognuno dei due firma la Convenzione nel proprio ufficio. Si tratta, da parte di Almunia, di un chiaro sgarbo alla Santa Sede, da leggere anche alla luce dei difficili rapporti dei socialisti spagnoli con la Chiesa. Sarà lo stesso Almunia, come Commissario Europeo per la concorrenza, a far partire la procedura contro lo Stato italiano per favoritismi alla Chiesa per via del regime fiscale su ICI e IRPEF. E lì le cose procedono più speditamente, anche perché il tempo stringe. Viene adottata la Legge vaticana n. CXXVII (vigente per lo Stato della Città del Vaticano) e si decide di estendere gli effetti della nuova normativa alla Santa Sede attraverso un Motu Proprio di Benedetto XVI, promulgato il 30 dicembre 2010, appena in tempo perché la convenzione non decada. Secondo alcuni l’AIF sarebbe il segno che lo stesso Gotti Tedeschi, presidente del Consiglio di sovrintendenza dello Ior, non ha una ”carta bianca” del Santo Padre, visto che lo stesso IOR è stato sottoposto a vigilanza. Ma la strada non è in discesa. Nel settembre del 2010, due movimentazioni di denaro dello IOR vengono bloccate per una sospetta violazione della normativa antiriciclaggio. Lo IOR muove il denaro da un suo conto presso il Credito Artigiano, banca “amica”, il cui presidente, Antonio De Censi, sedeva nella commissione di vigilanza dello Ior. Dal conto del Credito Artigiano a lui intestato, lo Ior muove 20 milioni di euro verso un conto, sempre intestato allo Ior, della Jp Morgan in Germania, e 3 milioni verso un altro conto dello Ior presso la Banca del Fucino. La vigilanza della Banca d’Italia chiede conto di quella movimentazione, ma ritiene insufficienti le spiegazioni della Banca. Il denaro viene bloccato, in attesa di accertamenti. E viene sbloccato nel momento in cui la normativa antiriciclaggio vaticana è entrata a pieno regime. Nel frattempo, Ettore Gotti Tedeschi, con una decisione per molti discutibile sul piano giuridico e senza precedenti, si reca dai magistrati italiani titolari dell’inchiesta, e in 91 pagine di verbale tenta di chiarire il perché e il per come delle movimentazioni. Spiegazioni considerate insufficienti dai giudici, ma che hanno creato uno spiacevole precedente tra le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Italia: se la Santa Sede è un ente sovrano, i giudici di uno Stato estero, compresi quelli italiani, devono chiedere una rogatoria internazionale per parlare con uno dei suoi dipendenti. Non solo, il presidente di un organo di Stato, non può presentarsi presso l’Autorità giudiziaria di un altro Stato se non rinunciando alla propria immunità altrimenti, la sua scelta personale implicherebbe la rinuncia, di fatto, all’immunità dell’organo stesso. La scelta di Gotti Tedeschi insomma ha per molti qualcosa di incomprensibile nell’ottica delle relazioni internazionali. È anche di questo che si discute all’interno dell’Autorità di Informazione Finanziaria, presieduta dal card. Attilio Nicora, ex presidente dell’APSA, e governata da un Consiglio direttivo del quale fa parte, tra gli altri, Giuseppe Dalla Torre, quest’ultimo tra le figure più autorevoli di fiducia della Santa Sede. Salvo la figura di Nicora, Dalla Torre e un internazionalista proveniente da altre esperienze nella Santa Sede, molti componenti dell’AIF sono provengono dal mondo bancario italiano e dalla Banca d’Italia, dove peraltro non ricoprivano posizioni di rilievo. Una scelta, che per molti è poco coerente alla universalità della Santa Sede, che per tradizione è composta da personale internazionale. Lo sbilanciamento con l’Italia è inoltre per molti un segno di una debolezza e fonte di rischi, piuttosto che di opportunità, dato che i guai della Santa Sede sono nati proprio nella Banca d’Italia governata da Mario Draghi. La Santa Sede il 14 settembre 2011 ha quindi inviato un documento preliminare illustrativo del quadro istituzionale e giuridico della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, nonché delle iniziative assunte per l’adeguamento agli standard internazionali in materia. A fine novembre sono giunti a Roma i commissari del Consiglio d’Europa per la visita del luogo, e sembra che, con sorpresa rispetto alle aspettative, forse soprattutto della Banca d’Italia, della vigilia, proprio lo Ior sia stato trovato in condizioni di buona salute rispetto alo standard internazionale. Sarà a metà del prossimo 2012 che Moneyval, l’organismo competente del Consiglio d’Europa, discuterà il Rapporto sulla Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano. Nel frattempo è in corso un intenso lavoro di riforma della finanza vaticana. La partita è quindi in corso e gli esiti sono tutt’altro che prevedibili.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org