“Il Signore ci insegna ad alzare gli occhi e soprattutto il cuore. A sollevare lo sguardo, distogliendolo dalle cose del mondo, ad orientarci nella preghiera verso Dio e così a risollevarci”. “In un inno della preghiera delle ore – ha detto Benedetto XVI nell'omelia -chiediamo al Signore di custodire i nostri occhi, affinché non accolgano e lascino entrare in noi le ‘vanitates’, le vanità, le nullità, ciò che è solo apparenza. Preghiamo che attraverso gli occhi non entri in noi il male, falsificando e sporcando così il nostro essere. Ma vogliamo pregare soprattutto per avere occhi che vedano tutto ciò che è vero, luminoso e buono; affinché diventiamo capaci di vedere la presenza di Dio nel mondo”. Insomma, ha chiarito il Santo Padre, “preghiamo, affinché guardiamo il mondo con occhi di amore, con gli occhi di Gesù, riconoscendo così i fratelli e le sorelle, che hanno bisogno di noi, che sono in attesa della nostra parola e della nostra azione”. Non solo: “Benedicendo, il Signore spezza poi il pane e lo distribuisce ai discepoli. Lo spezzare il pane è il gesto del padre di famiglia”, ma “è anche il gesto dell’ospitalità con cui lo straniero, l’ospite viene accolto nella famiglia”. “Dividere, con-dividere – ha spiegato il Papa - è unire. Mediante il condividere si crea comunione. Nel pane spezzato, il Signore distribuisce se stesso. Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunione con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio”.
Se “lo spezzare il pane è un gesto di comunione”, nel gesto stesso è già accennata “l’intima natura dell’Eucaristia: essa è agape, è amore reso corporeo”. Nella parola “agape” i significati di Eucaristia e amore “si compènetrano. Nel gesto di Gesù che spezza il pane, l’amore che si partecipa ha raggiunto la sua radicalità estrema: Gesù si lascia spezzare come pane vivo”. Insomma, “l’Eucaristia – ha avvertito - non può mai essere solo un’azione liturgica. È completa solo, se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Nel culto cristiano le due cose diventano una, l’essere gratificati dal Signore nell’atto cultuale e il culto dell’amore nei confronti del prossimo”. “Chiediamo in quest’ora al Signore – ha continuato - la grazia di imparare a vivere sempre meglio il mistero dell’Eucaristia così che in questo modo prenda inizio la trasformazione del mondo”.“L’Eucaristia è più di un convito, è una festa di nozze. E queste nozze si fondono nell’autodonazione di Dio sino alla morte”, ha spiegato ancora Benedetto XVI, nella Messa in Coena Domini. “Nelle parole dell’Ultima Cena di Gesù e nel Canone della Chiesa – ha proseguito - il mistero solenne delle nozze si cela sotto l’espressione ‘novum Testamentum’. Questo calice è il nuovo Testamento, ‘la nuova Alleanza nel mio sangue’, come Paolo riferisce la parola di Gesù sul calice nella seconda lettura di oggi”. A ciò il Canone romano aggiunge: “per la nuova ed eterna alleanza”, per esprimere, ha evidenziato il Papa, “l’indissolubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Il motivo per cui le antiche traduzioni della Bibbia non parlano di Alleanza, ma di Testamento, sta nel fatto che non sono due contraenti alla pari che qui si incontrano, ma entra in azione l’infinita distanza tra Dio e l’uomo”. Insomma, “ciò che noi chiamiamo nuova ed antica Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma mero dono di Dio che ci lascia in eredità il suo amore, se stesso”.
Certo, ha sottolineato il Pontefice, “mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende poi veramente ‘partner’ e si realizza il mistero nuziale dell’amore”.Nei tempi remoti dei Padri di Israele, ha chiarito Benedetto XVI, “ratificare un’alleanza” significa “entrare con altri in un legame basato sul sangue, ovvero accogliere l’altro nella propria federazione ed entrare così in una comunione di diritti l’uno con l’altro”. In questo modo “si crea una consanguineità reale benché non materiale”. Di qui la domanda: “Possiamo adesso farci almeno un’idea di ciò che avvenne nell’ora dell’Ultima Cena e che, da allora, si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia?”. Dio, è la risposta, “stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli crea una ‘consanguineità’ tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, mediante il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità molto reale con Gesù e quindi con Dio stesso”. Dunque, “il sangue di Gesù è il suo amore, nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola”. “Preghiamo il Signore – ha continuato il Pontefice - affinché comprendiamo sempre di più la grandezza di questo mistero! Affinché esso sviluppi la sua forza trasformatrice nel nostro intimo, in modo che diventiamo veramente consanguinei di Gesù, pervasi dalla sua pace e così anche in comunione gli uni con gli altri”. “Signore – ha concluso il Papa - oggi Tu ci doni la tua vita, ci doni te stesso. Pènetraci con il tuo amore. Facci vivere nel tuo ‘oggi’. Rendici strumenti della tua pace”.
SANTA MESSA "NELLA CENA DEL SIGNORE" NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO - il testo integrale dell'omelia del Papa