Angelo Scelzo, Avvenire
martedì 12 gennaio 2010
Il card. Etchegaray: tutto è grazia, si può servire la Chiesa anche rompendosi un femore. Ho sentito il Papa vicino dal primo momento
Al momento della comunione qualche infermiere ha dovuto occuparsi dell’asticella della flebo dei malati che, dalle stanze accanto (coloro che potevano) si erano avvicinati a quella del cardinale, in fondo alla corsia del nono piano al Policlinico Gemelli. Primo celebrante un sacerdote diocesano; su una sedia a rotelle, la stola poggiata sulla vestaglia da camera, terminata la lettura del Vangelo, il card. Roger Etchegaray ha cominciato a commentarne i passi e, a quel punto, è parso riprendere appieno la sua strada. Per il porporato non è stata, non poteva essere, una domenica come le altre. L’intervento chirurgico ormai alle spalle; le fasi dell’incidente ricordate solo per evocare lo scampato pericolo per il Papa e interrogarsi, con il cuore aperto al perdono, sulle intenzioni di Susanna Maiolo, la ragazza responsabile della sua caduta. È stata ieri l’altro la domenica del giorno dopo. Sabato infatti a far visita al vecchio amico cardinale era arrivato, quasi in punta di piedi, Papa Benedetto (foto). "Di questo femore rotto sono stato ripagato già fin troppo", sorride l’87enne porporato. Lo spirito è quello di sempre, e anche l’emozione dell’incontro è tutt’altro che spenta: Etchegaray non si dà certo pensiero di manifestarla, "perché la gioia – dice – è la prima cosa che non va tenuta per sé". Tiro avanti con gioia, ha scritto, del resto, in un libro singolare già dal titolo "Tiro avanti come un asino", nel quale si mostra fiero – più del fatto di essere basco – di portare, proprio come l’asina di Gerusalemme, il Cristo sulla groppa. "Quando inciampo in un sasso – ha scritto – il mio Padrone viene certamente sballottato ma non mi rimprovera mai di niente". E così quando si ha di fronte il Papa, seduto sulla sedia accanto, anche a un cardinale carico di onori e di anni, il cuore può andare in tumulto. Conta poco aver attraversato il mondo in lungo e in largo; e aver visto, uno a uno, nel corso di decenni, tutti i potenti della terra. E anche quel titolo – inviato speciale del Papa – che lo ha accompagnato in quasi tutti i "punti i caldi" della terra, è valso poco a evitargli di restare impigliato nel filo di un’emozione nuova. Certo conosceva bene, e da molti anni chi aveva di fronte. A unirli, prima in sintonia e poi in amicizia, erano stati i primi anni del Concilio Vaticano II: un’altra epoca della storia, ma un evento di Chiesa su cui non verrà mai il tempo per mettere il punto. Di questa visita pontificia così discreta, proprio come avviene quando si va a trovare un amico è parso innaturale provare a saperne di più sui temi del colloquio. Ma un indizio è venuto dal cardinale: "I verbi erano al futuro. Occorre guardare avanti. L’attesa di Cristo è un respiro forte e vitale, e dev’essere il respiro dell’intera umanità. Guardando avanti occorre guardare soprattutto verso Oriente, dove Cristo, in territori vasti e addirittura sterminati, attende ancora di essere annunciato". Quanto all’incidente "è stato – in tutti i sensi – niente più di un inciampo ciò che è accaduto nella notte di Natale a San Pietro – osserva ancora Etchegaray –. La lezione è forse questa: si può servire la Chiesa anche rompendosi un femore. Agostinianamente, tutto è grazia. Ciò che già ho ottenuto in cambio, ricompensa, e di molto, ogni disagio. E poi: come si fa a non vedere cosa succede per il mondo. Le persecuzioni dei cristiani non sono ancora finite. Terrore e morte continuano a tenere cattiva compagnia a troppi uomini, e mentre in più posti la giustizia latita, i diritti umani vengono calpestati a danno soprattutto dei più poveri. Di fronte a tutto questo, e anche al dolore che abita tra queste stesse mura, a cominciare da qualche stanza accanto, che volete che sia un femore rotto? Parlare di sofferenza per questa mia disavventura è perfino troppo, e provo un po’ di pudore a doverne trattare ancora". Per chi lo conosce è il solito cardinale, col paradosso sempre pronto o a portata di penna. "Ma è vero che da questa stanza è forse più facile pensare alla Chiesa, riflettere sul suo cammino, valutarne serenamente i passi. Non sfuggono neppure le zone d’ombra". Ma tenendo conto che, di fronte ad essa, come affermò davanti a Giovanni Paolo II guidando gli esercizi spirituali nella Quaresima del 1997 – non vale affermare che è fatta di una "miscela di grazia e di peccato", e che è più o meno santa a seconda dei periodi della storia. "Non si è dissertato mai tanto sulla Chiesa quanto adesso, mentre invece generazioni di cristiani vi hanno semplicemente vissuto senza analisi troppo raffinate, senza calcoli basati sui sondaggi". Papa Benedetto sapeva chi aveva di fronte. Era ben al corrente che, fin dalla notte stessa dell’incidente, il card. Etchegaray aveva offerto alla sua persona e alla Chiesa le sue sofferenze. Ma poche altre volte, prima dell’incontro nella stanza del Gemelli, aveva potuto vedere gli occhi felici del vecchio amico del tempo del Concilio. Quando il Papa si è avviato all’uscita, il cardinale si è fatto aiutare per mettersi in piedi e accompagnarlo fin davanti all’uscio della porta: un modo per fargli sentire il vigore di un grazie "strappato" alle prime forze disponibili. "Venire qui al Gemelli è stato un gesto di una generosità estrema. Mi aveva già telefonato e anche scritto una bellissima lettera. Altre volte aveva inviato mons. Georg Ganswein. Ho sentito il Papa vicino fin dal primissimo momento; ed è stato un grande conforto. A vederlo poi si resta sempre ammirati della sua mitezza. È davvero un amabile uomo di Dio".