“Le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono”: è un’affermazione di San Bonaventura, che “vale anche oggi”, perché “l’annuncio di Cristo costituisce novità e rinnovamento in tutti i periodi della storia”. Il Papa ha dedicato la catechesi del Santo, già al centro dell’Udienza generale di mercoledì scorso. Citando la “concezione spiritualistica” di Gioacchino da Fiore, in base alla quale “l’ordine francescano non era governabile, ma andava verso l’anarchia”, il Papa – che ha parlato per gran parte a braccio – ha ricordato che Bonaventura “respinge l’idea di un ritmo trinitario della storia”, portata avanti da Gioacchino e dalla sua dottrina dell’avvento di una “terza età dello spirito”. Per San Bonaventura, “Dio è uno per tutta la storia e non si divide in tre divinità. La storia è una, ed è un cammino di progresso”. In secondo luogo, “Gesù Cristo è l’ultima Parola di Dio, che ha detto tutto donando e dicendo se stesso”. “Più di se stesso Dio non può dire nè dare”, come affermava San Francesco: ciò comporta che “non c’è un altro Vangelo più alto, un’altra Chiesa da aspettare”, e che anche l’ordine francescano “deve inserirsi in questa Chiesa nel suo ordine gerarchico”. Questo non significa, ha spiegato il Papa, “che la Chiesa sia immobile, fissa nel passato, che non ci possa essere novità in essa”. “Le opere di Cristo progrediscono”, è una delle affermazioni centrali di Bonaventura, che “per la prima volta formula l’idea di progresso, e ciò costituisce una novità nei confronti dei padri della Chiesa e dei suoi contemporanei”, ha sottolineato il Santo Padre. In San Bonaventura, dunque, “Gesù Cristo non è più la fine, come per i padri, ma il centro della storia: con Cristo la storia non finisce, ma comincia un nuovo periodo storico”. Con le sue opere, San Bonaventura ha voluto inoltre contrastare sia uno “spiritualismo utopico”, attraverso la “volontà di dare ordine al francescanesimo” e, nello stesso tempo, di “restituire alla Chiesa un dinamismo missionario”, sia l’idea di un “declino permanente” della comunità ecclesiale, “per alcuni già iniziato subito dopo il Nuovo Testamento”. Per Bonaventura, ma anche oggi, è necessario dunque un “discernimento” che coniughi “realismo sobrio e apertura ai nuovi carismi donato da Cristo, nello Spirito Santo, alla sua Chiesa”. Dopo il Concilio Vaticano II, ci fu in alcuni settori della Chiesa Cattolica la tentazione di uno ''spiritualismo utopico e anarchico'', secondo cui ''tutto è nuovo, che c’è un’altra Chiesa, che la Chiesa preconciliare è finita e ne avremo un’altra, totalmente altra'' ma ''timonieri saggi come Paolo VI e Giovanni Paolo II'' seppero, in quel frangente, ''difendere la novità del Concilio e nello stesso tempo l'unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di grazia''. Quella indicata da San Bonaventura, per il Papa, è la strada indicata da San Francesco, che coniuga “sano realismo e coraggio spirituale”: la “regola” è il Sermone della Montagna, “regola per ogni uomo, pur segnato dal peccato originale”. Per Bonaventura, inoltre, “governare non era un fare, ma un pensare e un pregare. Tutte le sue decisioni derivavano dal pensiero illuminato dalla preghiera”. “Governare guidando e illuminando gli animi” era il suo intento, evidente nei suoi scritti teologici mistici. Come il suo “capolavoro”, l’Itinerarium mentis in Deum: “Un manuale di contemplazione mistica”, lo ha definito il Papa. “Dio purifichi i nostri pensieri e le nostre azioni – l’auspicio finale del Papa – affinché Egli abiti in noi e noi possiamo intendere la voce divina che ci attrae verso la felicità”.
Agi, SIR, Asca
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa