venerdì 5 marzo 2010

Prima predica di Quaresima di padre Cantalamessa: il cristianesimo è innamoramento non costrizione, il suo rifiuto in Occidente è rifiuto della grazia

“Il Signore mi concede di essere testimone della grazia straordinaria che si sta rivelando per la Chiesa quest’Anno Sacerdotale. Non si contano i ritiri del clero che si tengono in varie parti del mondo. A uno di questi ritiri, organizzato a Manila dalla conferenza episcopale delle Filippine, nel gennaio scorso, hanno preso parte 5.500 sacerdoti e 90 vescovi. È stato, a detta del cardinale di Manila, una nuova Pentecoste”: sono le parole con le quali padre Raniero Cantalamessa (foto), Predicatore della Casa Pontificia, ha aperto stamane in Vaticano la sua prima predica per la Quaresima alla presenza del Papa. “Durante un’ora di adorazione guidata – ha proseguito -, all’invito del predicatore, tutta quella immensa distesa di sacerdoti in bianche vesti ha gridato a una sola voce: ‘Lord Jesus, we are happy to be your priests’: Signore Gesù, siamo felici di essere tuoi sacerdoti!. E si vedeva dai volti che non erano solo parole. La stessa esperienza, in numero più ridotto, l’ho vissuta in diversi altri Paesi. Tutti mi hanno pregato di trasmettere al Santo Padre il loro grazie e il loro saluto e io lo faccio con gioia in questo momento”. Quella di padre Cantalamessa è stata una riflessione dedicata al tema del “mistero” del prete, visto come “ministro di Cristo” e come “dispensatore dei misteri di Dio”, il primo dei quali è il dono della “grazia”. Padre Cantalamessa ha quindi sottolineato quale sia “la novità della nuova alleanza rispetto all’antica”. Citando pensieri di Sant’Agostino, ha affermato: “Con la legge delle opere Dio dice all’uomo ‘Fa’ quello che ti comando’, con la legge della fede l’uomo dice a Dio ‘Da’ quello che mi comandi’”. Il Predicatore della Casa Pontificia ha quindi collegato il “messaggio della grazia” al “problema dell’evangelizzazione nel mondo attuale e del dialogo interreligioso”, affermando che “noi cristiani non entreremo certo in dialogo con altre fedi, affermando la differenza o la superiorità della nostra religione; questo sarebbe la negazione stessa del dialogo. Insisteremo piuttosto su ciò che ci unisce, gli obbiettivi comuni, riconoscendo agli altri lo stesso diritto (almeno soggettivo) di considerare la loro fede la più perfetta e la definitiva”. Ha quindi aggiunto che “chi vive con coerenza e in buona fede una religione delle opere e della legge è migliore e più gradito a Dio di chi appartiene alla religione della grazia ma trascura completamente sia di credere nella grazia che di compiere le opere della fede”.