mercoledì 28 aprile 2010

Il Papa: l'esempio di Leonardo Murialdo e Giuseppe Cottolengo illuminino il ministero dei sacerdoti che si spendono per Dio e per il loro gregge

"Non è possibile esercitare la carità senza vivere in Cristo e nella Chiesa”. Con queste parole il Papa ha concluso la catechesi dell’Udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, dedicata a “due santi sacerdoti esemplari nella loro donazione a Dio e nella testimonianza di carità, vissuta nella Chiesa e per la Chiesa, verso i fratelli più bisognosi”, San Leonardo Murialdo e San Giuseppe Benedetto Cottolengo, entrambi vissuti a Torino. “La loro intercessione e il loro esempio – l’auspicio espresso da Benedetto XVI – continuino ad illuminare il ministero di tanti sacerdoti che si spendono con generosità per Dio e per il gregge loro affidato, e aiutino ciascuno a donarsi con gioia e generosità a Dio e al prossimo”. I due sacerdoti, ha ricordato il Papa, “hanno vissuto il loro ministero nel dono totale della vita ai più poveri, ai più bisognosi, agli ultimi, trovando sempre la radice profonda, la fonte inesauribile della loro azione nel rapporto con Dio”. Sacerdote e catechista “conosciuto e apprezzato” anche da don Bosco, che lo convinse ad accettare la direzione del nuovo Oratorio di san Luigi a Porta Nuova, Leonardo Murialdo “venne in contatto anche con i gravi problemi dei ceti più poveri, ne visitò le case, maturando una profonda sensibilità sociale, educativa ed apostolica che lo portò poi a dedicarsi autonomamente a molteplici iniziative in favore della gioventù”. Sottolineando la “grandezza della missione del sacerdote”, che deve “continuare l’opera della redenzione, la grande opera di Gesù Cristo, l’opera del Salvatore del mondo”, cioè quella di “salvare le anime”, San Leonardo “ricordava sempre a se stesso e ai confratelli la responsabilità di una vita coerente con il sacramento ricevuto”. “Amore di Dio e amore a Dio”: fu questa, secondo il Papa, “la forza del suo cammino di santità, la legge del suo sacerdozio, il significato più profondo del suo apostolato tra i giovani poveri e la fonte della sua preghiera”. Abbandonandosi “con fiducia” alla Provvidenza, il Murialdo “ha unito il silenzio contemplativo con l’ardore instancabile dell’azione, la fedeltà ai doveri di ogni giorno con la genialità delle iniziative, la forza nelle difficoltà con la serenità dello spirito”: è questa, per il Pontefice, “la sua strada di santità per vivere il comandamento dell’amore, verso Dio e verso il prossimo”. “Catechesi, scuola, attività ricreative” sono i “fondamenti del suo metodo educativo” in oratorio: nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe, “il cui fine apostolico fu, fin dall’inizio, la formazione della gioventù, specialmente quella più povera e abbandonata”. L’ambiente torinese del tempo fu segnato, inoltre, “dall’intenso fiorire di opere e di attività caritative” promosse dal Murialdo fino alla sua morte, il 30 marzo 1900. “Domenica prossima, nella mia Visita pastorale a Torino, avrò modo di venerare le spoglie di questo Santo e di incontrare gli ospiti della Piccola Casa”, ha ricordato il Papa parlando della figura di Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della “Piccola Casa della Divina Provvidenza”. “Buon sacerdote, ricercato da molti penitenti” e, nella Torino di quel tempo, “predicatore di esercizi spirituali e conferenze presso gli studenti universitari, dove riscuoteva sempre un notevole successo”, a 32 anni san Giuseppe ebbe “un incontro inaspettato e decisivo”, che “gli fece capire quale sarebbe stato il suo futuro destino nell’esercizio del ministero”. Il 2 settembre 1827, ha ricordato Benedetto XVI, “proveniente da Milano giunse a Torino la diligenza, affollata come non mai, dove si trovava stipata un’intera famiglia francese in cui la moglie, con cinque bambini, era in stato di gravidanza avanzata e con la febbre alta”. Dopo aver vagato per vari ospedali, quella famiglia trovò alloggio in un dormitorio pubblico, ma “la situazione per la donna andò aggravandosi e alcuni si misero alla ricerca di un prete”. “Per un misterioso disegno incrociarono il Cottolengo, e fu proprio lui, con il cuore pesante e oppresso, ad accompagnare alla morte questa giovane madre, fra lo strazio dell’intera famiglia”. “Da quel momento il Cottolengo fu trasformato”, ha fatto notare il Papa: “Tutte le sue capacità, specialmente la sua abilità economica e organizzativa, furono utilizzate per dare vita ad iniziative a sostegno dei più bisognosi”, attraverso il coinvolgimento “nella sua impresa” di decine e decine di collaboratori e volontari. “Spostandosi verso la periferia di Torino per espandere la sua opera – ha proseguito il Santo Padre – creò una sorta di villaggio, nel quale ad ogni edificio che riuscì a costruire assegnò un nome significativo: casa della fede, casa della speranza, casa della carità”. In questo modo, “mise in atto lo stile delle ‘famiglie’, costituendo delle vere e proprie comunità di persone, volontari e volontarie, uomini e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare e superare insieme le difficoltà che si presentavano”. “Ognuno in quella Piccola Casa della Divina Provvidenza aveva un compito preciso”, ha fatto notare Benedetto XVI: “Chi lavorava, chi pregava, chi serviva, chi istruiva, chi amministrava. Sani e ammalati condividevano tutti lo stesso peso del quotidiano. Anche la vita religiosa si specificò nel tempo, secondo i bisogni e le esigenze particolari”. “Il manovale della Divina Provvidenza”: così San Giuseppe Cottolengo amava definirsi. “La sua vita, come scrisse un giornale del tempo, era stata tutta un’intensa giornata d’amore”, ha concluso il Papa.

SIR

L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa