sabato 29 maggio 2010

Il Papa: padre Ricci felice sintesi fra annuncio del Vangelo e dialogo con la cultura del popolo. Dall'incontro con Cristo frutti di bene per la Cina

Padre Ricci è stato anzitutto un missionario, andato in Cina “per portarvi il Vangelo”. E così ha plasmato anche un importante “dialogo fra le culture” , fra la Cina e l’Occidente. È quanto ha affermato oggi Benedetto XVI nell’Aula Paolo VI gremita di migliaia di pellegrini provenienti dalla diocesi Macerata, patria di Matteo Ricci, e da tutte le diocesi delle Marche, in occasione del quarto centenario della morte del grande missionario gesuita. Salutando i vescovi e i fedeli in aula, il Papa ha salutato anche i cinesi con un sonoro “Nimen hao!”, "come state?". Per capirne la grandezza, non solo religiosa e mai troppo a lungo celebrata, è sufficiente affacciarsi nel “Museo del Millennio” di Pechino: in quelle sale, “solo due stranieri sono ricordati fra i grandi della storia”: uno è Marco Polo, l’altro è padre Matteo Ricci, spentosi a Pechino il 11 maggio 1610. Il “privilegio straordinario” di essere sepolto in terra cinese, “impensabile per uno straniero”, dà la misura, ha spiegato il Papa, della stima che arrivò a circondare padre Ricci, fin nelle stanze dell’imperatore. Tra le figure di “grande statura” che si distinsero per “lo zelo e il coraggio di portare Cristo in terre nuove e lontane”, padre Ricci, ha affermato il Pontefice, “è un caso singolare di felice sintesi fra l’annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta, un esempio di equilibrio tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale. Non solo l’apprendimento profondo della lingua, ma anche l’assunzione dello stile di vita e degli usi delle classi colte cinesi, frutto di studio e di esercizio paziente e lungimirante, fecero sì che padre Ricci venisse accettato dai cinesi con rispetto e stima, non più come uno straniero, ma come il ‘Maestro del grande Occidente’”. Il Pontefice ha detto che nell’opera di questo missionario “non devono essere separati” il suo impegno per “l’inculturazione cinese dell’annuncio evangelico e la presentazione alla Cina della cultura e della scienza occidentali”. In effetti, in molti eventi celebrativi del IV centenario della morte, si è rischiato di presentare Matteo Ricci solo come un mediatore culturale. “Padre Ricci – ha detto il Papa - non si reca in Cina per portarvi la scienza e la cultura dell’Occidente, ma per portarvi il Vangelo, per far conoscere Dio”. E ha aggiunto: “É proprio mentre porta il Vangelo, che padre Ricci trova nei suoi interlocutori la domanda di un confronto più ampio, così che l’incontro motivato dalla fede, diventa anche dialogo fra culture; un dialogo disinteressato, libero da mire di potere economico o politico, vissuto nell’amicizia, che fa dell’opera di padre Ricci e dei suoi discepoli uno dei punti più alti e felici nel rapporto fra la Cina e l’Occidente”. Benedetto XVI ha ricordato anche “il ruolo e l’influsso” che nell’opera di Ricci hanno avuto i suoi amici cinesi: “Le scelte da lui compiute non dipendevano da una strategia astratta di inculturazione della fede, ma dall’insieme degli eventi, degli incontri e delle esperienze che andava facendo, per cui ciò che ha potuto realizzare è stato grazie anche all’incontro con i cinesi; un incontro vissuto in molti modi, ma approfonditosi attraverso il rapporto con alcuni amici e discepoli, specie i quattro celebri convertiti, ‘pilastri della nascente Chiesa cinese’”. In particolare, il Papa ha ricordato due di questi amici e discepoli: l’allora famoso scienziato e letterato Xu Guangqi, che fra l’altro convinse padre Ricci a tradurre in cinese la più importante opera di geometria della Grecia antica, gli “Elementi” di Euclide, come pure Li Zihzao, altro studioso convertito al cristianesimo che aiutò il religioso gesuita a realizzare una moderna edizione del mappamondo, che schiuse ai cinesi una nuova immagine del pianeta. Il ricordo di Ricci e dei suoi amici, ha continuato Benedetto XVI devono essere un’occasione di preghiera per “la Chiesa in Cina e per l’intero popolo cinese, come facciamo ogni anno, il 24 maggio, rivolgendoci a Maria Santissima, venerata nel celebre Santuario di Sheshan a Shanghai; e siano anche di stimolo ed incoraggiamento a vivere con intensità la fede cristiana, nel dialogo con le diverse culture, ma nella certezza che in Cristo si realizza il vero umanesimo, aperto a Dio, ricco di valori morali e spirituali e capace di rispondere ai desideri più profondi dell’animo umano”. Il Papa ha concluso con un saluto e un apprezzamento alla Cina e al desiderio di un rapporto più profondo fra essa e il cristianesimo: “Anch’io, come padre Matteo Ricci, esprimo oggi la mia profonda stima al nobile popolo cinese e alla sua cultura millenaria, convinto che un loro rinnovato incontro con il Cristianesimo apporterà frutti abbondanti di bene, come allora favorì una pacifica convivenza tra i popoli”.