venerdì 11 giugno 2010

Il Papa: nel sacerdozio l'audacia di Dio che si affida a uomini deboli per rendersi presente all'umanità. Perdono a Dio e alle vittime per gli abusi

In una Piazza San Pietro nuovamente gremita da oltre 17mila sacerdoti concelebranti di 97 nazioni, e a poche ore dall’analoga scena di ieri sera durante la Veglia, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Papa Benedetto XVI ha presieduto la Santa Messa a conclusione dell'Anno Sacerdotale, la più numerosa concelebrazione mai svolta a Roma. Durante la celebrazione, i preti presenti hanno rinnovato le promesse sacerdotali, come nella Messa crismale del Giovedì Santo. Lo hanno fatto sotto l'immagine di San Giovanni Maria Vianney, che diversamente da quanto annunciato non è stato proclamato loro patrono, ritratta nel grande arazzo collocato sulla loggia centrale della Basilica Vaticana. Benedetto XVI è arrivato a bordo della papamobile, preceduto da una processione di oltre cinquanta cardinali. Poco prima avevano fatto ingresso circa 350 presuli e le migliaia di prelati e di sacerdoti concelebranti. Tra questi ultimi il sotto-segretario per i rapporti con gli Stati Balestrero e il capo del Protocollo Nwachukwu. Dopo aver raggiunto la cattedra, Benedetto XVI ha introdotto la celebrazione e il rito dell'asperges, come atto penitenziale durante il quale quattro porporati dell'ordine dei vescovi hanno asperso l'assemblea con l'acqua benedetta, per richiamare il sangue e l'acqua sgorgati dal cuore del Signore come segni di salvezza e di purificazione.
La grande audacia di Dio all’inizio della storia della Chiesa, un’audacia spiazzante: ritenere che un “povero uomo”, limitato, finito, fosse capace di comunicare l’infinito Amore. Come in un grande affresco, e in un’omelia quasi senza eguali per ampiezza, densità di contenuti, intensità emotiva, Benedetto XVI ha dipinto la straordinarietà della vocazione al sacerdozio in tutte le sue sfumature. Lo ha fatto dando pennellate di luce alla radice divina di questa chiamata, ma senza nascondere le ombre che i limiti umani proiettano, talvolta in modo indegno, su di essa.
Il Papa ha affermato, a proposito di questo Anno, che ''dal Curato d'Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote - ha detto - non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni societa' ha bisogno affinche' in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sè: pronuncia in nome di Cristo la parola dell'assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita''. “Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’. Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi”. ''Era da aspettarsi che al 'nemico' questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perche' in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”.
Il Papa ha quindi sottolineato che ''se l'Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde 'in vasi di creta' e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio''. ''Il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino'', ha detto il Pontefice. ''Accanto al bastone c'è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa - ha proseguito Papa Ratzinger - deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti''. ''Proprio l'uso del bastone - ha sottolineato il Papa - può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale''. ''Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l'eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi - ha aggiunto - autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore - vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore''. Le sue parole sono state accolte dagli applausi dei preti presenti. Nella parte centrale dell'omelia, Benedetto XVI ha quindi sviluppato una riflessione sulla concezione di Dio nella storia.
''Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, - ha affermato - hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c'è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di Lui''. Portando la riflessione alle epoche più recenti, ha aggiunto: ''Stranamente, questo pensiero è riemerso nell'Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un'origine remota''. “Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me". “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di ‘conoscere’ gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia con Dio”. ''Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini'', ha poi affermato il Papa, riflettendo sulla missione specifica del clero. Il compito del prete, ha concluso, è quello di ''essere accanto alle persone a noi affidate'', anche e soprattutto nelle ''notti oscure'' della ''tentazione, nelle ore dell'oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi''. E se anche è inevitabile che nel corso della vita si debbano percorrere le “valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare”: “Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce”.

Radio Vaticana, Asca, L'Osservatore Romano

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA A CONCLUSIONE DELL’ANNO SACERDOTALE - il testo integrale dell'omelia del Papa