giovedì 4 novembre 2010

Il Papa: la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, speranza affidabile nella vita eterna

Il cristianesimo è una “scelta di campo”: la predilezione delle cose di Dio, senza alcun disprezzo per quelle umane. Ed è fonte di una consapevolezza: che Dio non “spadroneggia” sull’uomo, ma lo ama di una misericordia “senza misura”. Con questi pensieri Benedetto XVI ha accompagnato questa mattina la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Pietro in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell’anno. L’eco con le parole pronunciate spontaneamente ieri alla fine della catechesi in Aula Paolo VI è forte e immediato: ciò che sporca l’anima va rigettato, senza che questo sia un pretesto per chiamarsi fuori dagli impegni “terreni”. Benedetto XVI è ritornato con un concetto simile sul tema all’inizio dell’omelia. Lo spunto è liturgico: l’insegnamento di San Paolo che invita a chi è risorto con Cristo “a cercare le cose di lassù” rispetto alle “cose della terra”. Un’antitesi che Benedetto XVI ha spiegato così: “La vita in Cristo comporta una ‘scelta di campo’, una radicale rinuncia a tutto ciò che – come zavorra – tiene l’uomo legato alla terra, corrompendo la sua anima. La ricerca delle ‘cose di lassù’ non vuol dire che il cristiano debba trascurare i propri obblighi e compiti terreni, soltanto non deve smarrirsi in essi, come se avessero un valore definitivo. Il richiamo alle realtà del Cielo è un invito a riconoscere la relatività di ciò che è destinato a passare, a fronte di quei valori che non conoscono l'usura del tempo”.
Dopo aver ricordato le parole della Scrittura, “’Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù’”, che “ci invitano ad elevare lo sguardo alle realtà celesti”, ha precisato il Papa, circa i doveri della vita quotidiana: “Si tratta di lavorare, di impegnarsi, di concedersi il giusto riposo, ma col sereno distacco di chi sa di essere solo un viandante in cammino verso la Patria celeste; un pellegrino; in un certo senso, uno straniero verso l’eternità”. Un traguardo, ha ricordato, raggiunto anche quest’anno da “numerosi arcivescovi e vescovi” e in particolare da sei cardinali: Peter Seiichi Shirayanagi, Cahal Brendan Daly, Armand Gaétan Razafindratandra, Thomáš Špidlik, Paul Augustin Mayer, Luigi Poggi. Benedetto XVI ha tratteggiato il loro ministero definendolo come “sempre segnato dall'orizzonte escatologico che anima la speranza nella felicità senz'ombra a noi promessa dopo questa vita; come testimoni del Vangelo protesi a vivere quelle ‘cose di lassù’, che sono il frutto dello Spirito: ‘amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé’”. Li ha poi definiti “cristiani e Pastori animati da profonda fede, dal vivo desiderio di conformarsi a Gesù e di aderire intimamente alla sua Persona, contemplando incessantemente il suo volto nella preghiera”. Benedetto XVI si è poi soffermato sull’espressione “vita eterna”, come “il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla”.
Una delle “parole centrali del Vangelo”, ha osservato Benedetto XVI, è la spiegazione che Gesù stesso offre a Nicodemo di quanto grande sia l’amore di Dio per il mondo, grande al punto “da dare il suo Figlio unigenito”. Siamo di fronte, ha scandito il Papa, a un “atto decisivo e definitivo”, col quale Dio varca “la soglia della nostra ultima solitudine”, la morte, e si cala “nell’abisso del nostro estremo abbandono”. “E’ una parola che cancella completamente l’idea di un Dio lontano ed estraneo al cammino dell’uomo, e svela, piuttosto, il suo vero volto: Egli ci ha donato il suo Figlio per amore, per essere il Dio vicino, per farci sentire la sua presenza, per venirci incontro e portarci nel suo amore, in modo che tutta la vita sia animata da questo amore divino...Dio non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono”. Capire tutto questo, ha proseguito il Pontefice, “significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio". “E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una ‘speranza affidabile’, quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne”.

Radio Vaticana, SIR