Radio Vaticana
venerdì 4 febbraio 2011
I grandi discorsi di Benedetto XVI. Westminster Hall 2010: una nuova presenza cristiana, consapevoli della grande responsabilità verso la società
Con l’appuntamento dedicato al tema “Secolarità non è neutralità: un nuovo cammino per lo sviluppo integrale della persona umana”, occasione per rileggere il discorso pronunciato a Westminster Hall a Londra da Benedetto XVI il 17 settembre 2010, si è concluso il ciclo di incontri sui grandi discorsi del Papa, organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato presso il Palazzo Apostolico Lateranense di Roma. Secolarità e neutralità: due caratteristiche del nostro tempo che sintetizzano il decisivo rapporto tra la dimensione religiosa e la dimensione politica nell’attualità. Il Papa, nel discorso alle autorità civili a Westminster Hall esorta i fedeli alla responsabilità, riprende le parole di Gesù che invita ognuno a prendere su di sé la propria croce. Ma la secolarizzazione è altra cosa dal secolarismo e non è per forza un concetto negativo. Ha spiegato la differenza il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: “La secolarizzazione non è negativa in sé, anzi: ha portato aspetto positivi anche nel rapporto della laicità rispetto alla religione. Diverso è il secolarismo, quindi diversi sono quelli che possiamo considerare i cascami ideologici della secolarizzazione. Il discorso del Papa, per esempio, fa chiarezza concettuale e quindi ci riporta ai fondamenti e così a saper cogliere, della secolarizzazione, gli aspetti positivi e talvolta migliori, cercando di abbandonare i peggiori”. Il centro del discorso del Santo Padre in un luogo simbolo, l’Inghilterra, della democrazia moderna, è l’odierna realtà della marginalizzazione della religione dalla sfera politica e dalla vita pubblica: un fenomeno che colpisce in particolar modo i cristiani e le nazioni storicamente più aperte alla tolleranza. È proprio qui che si vuole mettere a tacere la religione, o quantomeno relegarla alla sfera privata dell’individuo; una tendenza, però, non senza conseguenze per la democrazia moderna, come chiarisce mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “In questa maniera si svilisce l’etica democratica, il consenso sociale morale; si svilisce il fondamento del diritto e alla fine trova posto qualsiasi cosa. Anche ciò che è arbitrario”. Il ruolo della religione nel dibattito politico odierno è allora quello di conferire i fondamenti per allargare la visione politica e offrire terreno fertile all’etica della democrazia. Una democrazia che oggi è in crisi: crisi istituzionale e crisi valoriale, ma è una crisi che si può superare. In quale modo, lo spiega mons. Toso: “Trovando fondamenti solidi – come ha detto Benedetto XVI in più occasioni; e questi fondamenti solidi si trovano ricollegando il consenso sociale alla legge morale naturale la quale, nei suoi principi si trova nella coscienza di ogni uomo, di qualsiasi razza e di qualsiasi religione”.Si torna quindi alla questione della testimonianza di fede che i cattolici devono dare all’interno della società, anche se alcuni vorrebbero escluderli o vorrebbero che agissero contro la propria coscienza. Il Papa, nell’affrontare questo argomento, cita Tommaso Moro, “ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano di cui era ‘buon servitore’”. L’esempio del grande uomo di fede e statista inglese, ricorda mons. Toso, parla ancora all’uomo di oggi: “Tommaso Moro seppe riconoscere una legge morale che va al di là della legge positiva, quella stabilita dal re e dai suoi ministri, che ha fondamento nella coscienza. Vuol dire proprio questo: che noi dobbiamo sapere dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare”. Con la serata di ieri si è chiuso il ciclo di incontri dedicato ai grandi discorsi del Papa; occasioni per rileggere le parole del Santo Padre, la cui chiarezza è presupposto essenziale all’azione. Rileggere i discorsi, dunque, non tanto per capirli meglio, ma per agire meglio, soprattutto in un momento storico in cui i cristiani sono chiamati più che mai a dare il meglio di sé nell’annuncio del Vangelo. È un bilancio tutto positivo quello che fa mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la Pastorale universitaria del Vicariato di Roma: “La conclusione più bella è la consapevolezza che Benedetto XVI sta indicando a tutta la Chiesa una nuova presenza cristiana. Però, ciò comporta che i credenti che hanno vissuto e che vivono l’esperienza dell’incontro pieno con Cristo, si rendano consapevoli della grande responsabilità che hanno non soltanto per se stessi, ma anche nei confronti della società. La testimonianza, oggi, ha bisogno di essere rafforzata proprio da questa consapevolezza, che annunciare il Vangelo non significa invadere competenze del mondo secolare, ma significa rendere un servizio, perché là dove il Vangelo arriva, lì si creano le premesse per una vera secolarità come il Papa ha indicato nell’ultimo discorso a Westminster Hall”.