Il “Doctor mysticus”, “uno dei più importanti poeti lirici della letteratura spagnola”, nacque a Fontiveros nel 1542 da una “famiglia poverissima”: suo padre era stato cacciato di casa e diseredato perché aveva sposato Caterina, umile tessitrice di seta. La morte del padre spinse la famiglia a Medina del Campo, dove il giovane fu ammesso come infermiere all’ospedale della Concezione e a 18 anni nel collegio dei gesuiti. Alla fine della sua formazione aveva ben chiara la sua vocazione alla vita religiosa e nel 1563 entrò nei carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Mattia. Inviato all’università di Salmanca, nel 1567 fu ordinato sacerdote e tornò a Medina del Campo per la sua prima Messa. Qui c’è il primo incontro, “decisivo per entrambi”, con Santa Teresa d’Avila, che stava conducendo la riforma dell'ordine dei carmelitani. Teresa gli espose il suo piano di riforma del cammino e propose a Giovanni di aderirvi “a maggior gloria di Dio”. Giovanni “fu affascinato dal progetto”. I due lavorarono insieme alcuni mesi per inaugurare il 28 dicembre 1568 la prima casa dei Carmelitani scalzi. Nel rinnovare la professione religiosa adottarono un nuovo nome e Giovanni si chiamò “della Croce”. Fu una “adesione non facile”, culminata nel 1577 nel “rapimento e incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell’antica osservanza di Toledo a seguito di un’accusa ingiusta. Per mesi fu sottoposto a privazioni fisiche e morali”. Nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578 riuscì a fuggire, rifugiandosi nel monastero delle carmelitane. Ripresosi, nel 1572 su richiesta di Santa Teresa divenne confessore e vicario del monastero di Avila dove la santa era priora. Fu un periodo di “collaborazione e arricchimento spirituale di entrambi”. Fu poi destinato in Andalusia dove trascorse 10 anni in vari conventi e specialmente a Granada, dove completò stesura dei suoi trattati. Rientrato come superiore a Segovia, nel 1591 fu destinato alla nuova provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava al nuovo incarico si ammalò gravemente. Sopportò con pazienza una “enorme sofferenza”. Morì il 14 dicembre 1591, mentre i suoi confratelli recitavano l’ufficio. Le sue ultime parole furono: “Oggi vado a cantare l’Ufficio in cielo”. Il Pontefice ha poi enumerato le opere maggiori del Santo: “Ascesa al Monte Carmelo”, “Notte oscura”, “Cantico spirituale” e “Fiamma d’amor viva”. Ad accomunare questi testi mistici è il cammino di purificazione progressiva dell’anima per scalare la vetta della perfezione cristiana. Una vetta simboleggiata dal Monte Carmelo: “Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà”. Del resto, San Giovanni della Croce, nella “Notte oscura”, descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio nel processo di “purificazione” dell'anima. “Lo sforzo umano, infatti . ha sottolineato il Papa - è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente”. D’altro canto, ha rilevato, quello che rende l'anima pura e libera “è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose”.“Il lungo e faticoso processo di purificazione esige lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è 'disporsi', essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui”. Quando si giunge a questa meta, “l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo”. San Giovanni della Croce, ha detto a braccio Benedetto XVI, “ha qualcosa da dire anche a noi, cristiani, che vivono nelle circostanze normali della vita di oggi? O è un modello solo per poche anime elette?”. Per rispondere, innanzitutto, “dobbiamo tener presente che la vita di San Giovanni della Croce era molto dura, pratica, concreta”. “Il cammino con Cristo – ha osservato il Papa – non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, è una luce, una forza che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo porta in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali e sopporta molto più facilmente tutte le cose moleste della vita perché porta in sé questa grande luce”. E questo è “la fede: essere amati da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. La santità non è un’opera nostra molto difficile, ma è quest’apertura che apre le finestre delle nostre anime perché la luce di Dio possa entrare. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità del lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione”, è stata l’esortazione conclusiva.
Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero affettuoso alle Missionarie della Carità presenti in Aula Paolo VI, ringraziandole per la “gioiosa testimonianza cristiana che rendono nei diversi Continenti, sulle orme della loro indimenticabile Fondatrice” Madre Teresa di Calcutta. Quindi, ha rivolto un saluto ai coordinatori regionali dell’Apostolato del mare, in occasione del convegno promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, incoraggiandoli ad “individuare adeguate risposte pastorali ai problemi dei marittimi e delle loro famiglie”.
AsiaNews, Radio Vaticana, SIR
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa