venerdì 10 giugno 2011

La Santa Sede specifica le attenuanti soggettive ed oggettive che non fanno incorrere nella scomunica un vescovo ordinato senza mandato pontificio

La Santa Sede specifica le attenuanti di natura soggettiva ed oggettiva che possono permettere ad un vescovo ordinato senza l'assenso vaticano di non incorrere nella scomunica. Sullo sfondo delle polemiche circa le ordinazioni episcopali illegittime in Cina, L'Osservatore Romano pubblica una nota esplicativa in materia, non limitata al caso cinese, elaborata dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Il dicastero vaticano guidato da mons. Francesco Coccopalmerio ricorda che il canone 1382 del Codice di Diritto canonico punisce con scomunica 'latae sententiae' "il vescovo che senza mandato apostolico consacra qualcuno vescovo e anche quanti in questo modo ricevono l'ordinazione episcopale". Inoltre, "coloro che assumono detto compito di co-consacranti, e cioè impongono le mani e recitano la preghiera consacratoria nell'ordinazione, risultano coautori del reato e quindi ugualmente sottoposti alla sanzione penale". La nota vaticana menziona, però, il caso nel quale "la persona, che commette il delitto come ordinante o come ordinato, è 'costretta da timore grave, anche se soltanto relativamente tale, o per necessità o per grave incomodo'. Nel concreto caso di una consacrazione episcopale senza mandato, l'attenuante del timore grave o del grave incomodo (o l'esimente della violenza fisica) - spiega la nota - va, dunque, verificata in merito a ciascuno dei soggetti che intervengono nel rito: i ministri consacranti e i chierici consacrati. Ciascuno di loro - puntualizza il Pontificio Consiglio dei Testi legislativi - conosce in cuor suo il grado del personale coinvolgimento e la retta coscienza indicherà a ognuno se è incorso in una pena 'latae sententiae'". La nota pubblicata su L'Osservatore Romano aggiunge che la Santa Sede può trovarsi nella necessità di "infliggere direttamente al soggetto delle censure, per esempio, qualora dalla sua condotta successiva o dalla sua riluttanza a fornire le necessarie spiegazioni circa il proprio grado di partecipazione al delitto emergesse un atteggiamento non compatibile con le esigenze della comunione" e può "addirittura trovarsi nella necessità di dichiarare la scomunica latae sententiae, o di imporre altre sanzioni o penitenze, se ciò si rendesse necessario per riparare lo scandalo, per dissipare la confusione dei fedeli e, più in generale, per salvaguardare la disciplina ecclesiastica". La nota vaticana, ad ogni modo, ricorda che la scomunica "è una pena detta 'medicinale', perché ha per finalità muovere il reo al pentimento" ed "essendo riservata alla Santa Sede, solo ad essa può rivolgersi il reo pentito per ottenere l'assoluzione dalla scomunica, riconciliandosi con la Chiesa".

TMNews