Innumerevoli spunti concentrati in un quarto d’ora di domande e risposte ad “alta densità”. Benedetto XVI ha subito spiegato le ragioni dell viaggio in Benin. La prima, ha detto, “è che il Benin è un Paese in pace”, dentro e fuori. “Funzionano” le istituzioni democratiche e si respira uno “spirito di libertà e responsabilità”, di giustizia e di senso del “lavoro per il bene comune”. Poi, ha osservato, pur in presenza di una “grande diversità di religioni”, “queste diverse religioni convivono nel rispetto reciproco e nella responsabilità comune per la pace, per la riconciliazione interna ed esterna. Mi sembra che questa convivenza tra le religioni e il dialogo interreligioso come fattore di pace e di libertà siano un aspetto importante”. Alla domanda su come il cristianesimo viva il confronto con il crescente affermarsi delle Chiese evangeliche o pentecostali, che propongono una fede attraente e, per certi versi, “semplificata”, che ''hanno successo, ma poca stabilità'', il Papa ha detto con chiarezza: “Non dobbiamo imitare queste comunità, ma chiederci cosa possiamo fare noi per dare nuova vitalità alla fede cattolica”. A partire, ha indicato, dall’annuncio di un “messaggio semplice, profondo, comprensibile”. Per Benedetto XVI, ''è importante è che il cristianesimo non appaia come un sistema difficile, europeo, che un altro non possa comprendere e realizzare, ma come un messaggio universale che affermi che c’è Dio...che Dio ci conosce e ci ama e che la religione vissuta fa nascere la collaborazione e la fraternità...Inoltre, che l’istituzione non sia troppo pesante: è sempre molto importante che sia prevalente l’iniziativa della comunità e della persona. E infine, direi anche una liturgia partecipativa ma non sentimentale: non deve essere basata solo sull’espressione dei sentimenti, ma caratterizzata dalla presenza del mistero nella quale noi entriamo, dalla quale ci lasciamo formare”. Importante, ha affermato subito dopo il Pontefice, è pure “non perdere l’universalità” nell’inculturazione. Anzi, ha detto, “preferirei parlare di interculturalità, non tanto di inculturazione, cioè di un incontro delle culture” e “così crescere anche nella fraternità universale”, aiutati da quel grande valore che è la cattolicità. La terza domanda ha riguardato l’aspetto più politico dell’Africa, terra, è stato rilevato, di molte operazioni di peacekeeping, di conferenze di riconciliazione e verità nazionali. Benedetto XVI ha riconosciuto che ciò che conta per il progresso civile è superare la barriera dell’“egoismo”. Tuttavia, per meglio comprendere quale messaggio sul punto intenda indirizzare al continente, il Pontefice ha rimandato all’Esortazione Apostolica post-sinodale "Africae munus" che consegnerà alla Chiesa africana. E alla domanda successiva, la quarta, che chiedeva al Papa se ritenesse l’Africa protagonista dell’evangelizzazione nel resto del mondo, specie in quello occidentale in defcit di speranza, Benedetto XVI ha replicato che, certamente il continente patisce “grandi difficoltà”, “tuttavia questa freschezza della vita che c’è in Africa, la gioventù così piena di entusiasmo e di speranza, ma anche di umorismo e di allegria, ci mostra che c’è qui una riserva di umanità: c’è ancora la freschezza del senso religioso e della speranza, c’è ancora una percezione della realtà metafisica, della realtà nella sua totalità con Dio. Non la riduzione al positivismo, che restringe la nostra vita, la fa un po’ arida e spegne anche la speranza". L’ultima domanda ha riguardato la figura del card. Bernardin Gantin. Il Papa ha detto di averlo incontrato per la prima volta a Monaco, nel 1977, in occasione dell’ordinazione ad arcivescovo. “Era venuto – ha spiegato – perché uno dei suoi alunni era mio allievo”. Poi, ha raccontato, la successiva, lunga collaborazione condivisa in Vaticano alla testa dei rispettivi dicasteri ha cementato una bella e solida amicizia: “Ne ho sempre ammirato la sua intelligenza pratica e profonda e il suo senso di discernimento, il suo non cadere su certe fraseologie bensì comprendere che cosa fosse l’essenziale e cosa non avesse senso. E poi quel suo senso dell’umorismo, davvero molto bello… Ma soprattutto era un uomo di profonda fede e di preghiera. Tutto questo ha fatto del cardinale Gantin non solo un amico ma anche un esempio da seguire, quello di un grande vescovo africano cattolico“.Ora sono veramente lieto, ha concluso Benedetto XVI, di poter “pregare sulla sua tomba e sentire la sua vicinanza e la sua grande fede”. Subito dopo la conclusione dell'intervista al Papa, il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha rivelato l’identità dell’“allievo” di un tempo, grazie al quale i cardinali Ratzinger e Gantin fecero la loro conoscenza: si tratta del vescovo beninese Barthélemy Adoukonou, oggi segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, tra i membri del seguito papale in questo viaggio apostolico.
Radio Vaticana, Asca
VIAGGIO APOSTOLICO IN BENIN (18-20 NOVEMBRE 2011) (IV) - il testo integrale dell'intervista al Papa