mercoledì 9 novembre 2011

Sgarbo anticattolico dell'Irlanda: verrà chiusa l'ambasciata del Paese presso la Santa Sede. Ma la diplomazia di Benedetto XVI invece cresce

L’annuncio è stato dato con uno scarno comunicato giovedì scorso. L’Irlanda ha deciso di chiudere la propria ambasciata presso la Santa Sede, ufficialmente per la necessità di fare economia in questi tempi di gravi restrizioni di bilancio imposte dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. Costa troppo, dice Dublino, mantenere Villa Spada (foto), il sontuoso palazzo romano del XVII secolo che, dopo essere stato usato da Giuseppe Garibaldi nel 1849, successivamente passato nelle mani della famiglia Agnelli, è divenuto nel 1946 proprietà dell’Irlanda che vi ha posto la rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede. Una rappresentanza importante perché di proprietà di uno di quei Paesi europei che il Vaticano ha sempre sentito più di altri vicino e amico. Ma oramai è deciso. Il dietrofront è irrevocabile. L’Irlanda deve risparmiare e, insieme alle rappresentanze di Iran e Timor est, chiude anche quella presso il Vaticano. Scrive Le Monde: a conti fatti si tratta di una “notevole umiliazione diplomatica”. Anche perché “la vera ragione è l’atteggiamento della Chiesa d’Irlanda nello scandalo dei reati sessuali commessi da preti e religiosi”. Che il motivo della chiusura non sia soltanto quello economico sembra evidente anche da come le gerarchie hanno reagito alla notizia. Se il portavoce vaticano padre Federico Lombardi ha cercato di buttare acqua sul fuoco ricordando che comunque le relazioni diplomatiche restano in piedi, diversa, invece, è stata la reazione del card. Seán Brady. Senza giri di parole il primate dell’Eire ha detto che “questa decisione mostra poca considerazione per l’importante ruolo svolto dal Vaticano nelle relazioni internazionali e dei legami storici tra il popolo irlandese e la Santa Sede nel corso dei secoli”. Per Brady è grave il deficit di memoria che l’Irlanda mostra nei confronti della sua stessa storia: nel 1929, quando nacque la Repubblica d’Irlanda, le sue prime quattro rappresentanze diplomatiche all’estero furono quelle presso Washington, Londra, la Lega delle Nazioni e la Santa Sede. Sembra un paradosso. Proprio nel momento in cui la diplomazia vaticana raggiunge innegabili traguardi ampliando il numero dei Paesi coi quali vanta relazioni diplomatiche, deve soffrire l’addio della cattolica Irlanda, un addio che secondo alcuni potrebbe provocarne altri a cascata: “Altri Paesi potrebbero decidere di imitare l’Irlanda”, scrive il quotidiano irlandese on line The Evening Herald citando non ben identificate “fonti vaticane”. E di “effetto domino” parla anche Massimo Franco in un pezzo uscito su The Guardian. In effetti, c’è chi legge nella notizia della chiusura della rappresentanza irlandese un segno del declino dell’influenza vaticana nel mondo. Sul National Catholic Reporter è stato John Allen a citare l’ultimo lavoro di Franco “C’era una volta un Vaticano” per dire che la decisione dell’Irlanda non fa altro che confermare quanto il notista politico del Corriere della Sera scriveva nel suo libro: oggi l’influenza del Vaticano nello scacchiere internazionale è ridotta al lumicino. Ma davvero così stanno le cose? Davvero la nuova diplomazia “più Vangelo e meno politica” voluta da Papa Benedetto XVI quando nel 2006 ha portato il card. Tarcisio Bertone alla guida della Segreteria di Stato vaticana, e il corso Dominique Mamberti a capo della sezione “esteri” della stessa Segreteria, ha perso autorevolezza e capacità d’influenza? I dati sembrano in realtà dire altro. Circa un anno fa fu Avvenire, in occasione dell’udienza del Papa al corpo diplomatico accreditato in Vaticano, a rimarcare, numeri alla mano, il ruolo ricoperto dalla Chiesa Cattolica nello scenario “geopolitica” mondiale. Un “ruolo”, scrisse il quotidiano dei vescovi italiani, “che, in base al sempre crescente numero di paesi che vogliono intrattenere rapporti diplomatici con la Santa Sede, sembra continuare a suscitare un notevole interesse nella comunità internazionale. Basti ricordare che, come disvelato nei famosi cablogrammi diffusi da Wikileaks, l’ambasciata Usa in Vaticano in vista della visita del presidente Obama sottolineava come la Santa Sede fosse ormai seconda solo agli States per numero di paesi con cui intrattiene rapporti diplomatici”. Eppure nel 1900 questi Paesi erano appena una ventina. Ma nel 1978 ammontavano già a 84. Nel 2005 erano 174 e con Benedetto XVI sono diventati 178. Nel 2006, infatti, sono stati allacciati i rapporti col neonato Montenegro, nel 2007 con gli Emirati arabi uniti, nel 2008 col Botswana, il 9 dicembre 2009 infine è stata la volta della Federazione russa. La Santa Sede ha poi legami diplomatici con l’Unione europea e il Sovrano militare ordine di Malta, e mantiene osservatori permanenti presso le principali organizzazioni internazionali governative, come, ad esempio, l’Onu, il Consiglio d’Europa, la Fao, l’Unesco, il Wto e, inoltre, presso la Lega degli Stati arabi e l’Organizzazione dell’unità africana. Dell’Osce, poi, è membro fondatore. A parte il Kosovo, il cui inevitabile riconoscimento avverrà quando il suo status internazionale sarà meno controverso, la Santa Sede non intrattiene ancora relazioni con sedici stati, perlopiù asiatici, in buona parte a maggioranza islamica. E’ alla luce di questi dati che l’addio irlandese è difficile da capire. Scrive Sandro Magister: “Una nazione che ha sempre puntato moltissimo sulla propria identità cattolica e sullo storico legame con la Santa Sede – anche in opposizione alla protestante corona inglese che per secoli l’ha dominata non senza vessazioni – si trova oggi ad avere un legame diplomatico con il Vaticano di rango inferiore rispetto a quello intrattenuto dal Regno Unito, che solo nel 1982 ha stabilito pieni rapporti con la sede di Pietro. E così mentre lo scorso 10 settembre il nuovo ambasciatore inglese Nigel Marcus Baker, già consigliere privato del principe Carlo, consegnava le lettere credenziali nelle mani di Benedetto XVI definendo ‘eccellenti’ i rapporti tra Buckingham Palace e il papato, la splendida Villa Spada sul Gianicolo dovrà cambiare la propria storica destinazione d’uso”. Certo, la storia dei rapporti tra Vaticano e Regno Unito non è sempre stata rose e fiori. Il diplomatico inglese Ivor Roberts ha raccontato sul settimanale cattolico di Londra The Tablet che alcuni anni fa, tra il 2004 e il 2005, anche alcuni esponenti del governo britannico “si baloccavano con l’idea di chiudere” la loro ambasciata presso la Santa Sede e di far risiedere il loro ambasciatore nello stesso edificio del collega accreditato presso lo stato italiano. Il motivo? Il medesimo accampato oggi pubblicamente da Dublino: difficoltà di bilancio e necessità di tagliare le spese. Ma, scrive Magister, “nel Regno Unito quei calcoli vennero vanificati da una forte reazione contraria del primo ministro, che all’epoca era Tony Blair”. Un’ostinazione, quella di Blair, paragonabile a quella mostrata recentemente da quattro Paesi che, dopo lunghe trattative, sono riusciti per la prima volta ad aprire una loro sede di rappresentanza presso il Vaticano: sono l’Australia, il Camerun, Timor est e il Benin, il Paese africano, quest’ultimo, che il Papa visiterà tra pochi giorni. L’impressione è che Blair sia stato lungimirante. Il presunto antagonismo del popolo inglese nei confronti della Chiesa e del Papa, infatti, ha mostrato la sua inconsistenza un anno fa quando Joseph Ratzinger arrivò nel Regno Unito. E la stessa cosa si può dire dell’Irlanda. Scrive David Quinn sul The Independent che la mossa di chiudere l’ambasciata è motivata probabilmente dalla pressione dell’opinione pubblica dopo lo scandalo degli abusi sessuali sui minori. Ma, dati alla mano, tutta questa diffidenza nei confronti dei preti non c’è. Secondo un sondaggio del think tank religioso Iona Institute, un’organizzazione non governativa dedita al rafforzamento della società civile mediante il sostegno alla religione e al matrimonio, soltanto un quarto degli irlandesi ha un giudizio negativo sulla Chiesa in seguito all’uscita delle notizie di pedofilia nel clero. Mentre più della metà degli irlandesi crede che la Chiesa Cattolica e i suoi insegnamenti siano un valore importante per tutto il Paese. Il tutto nonostante la maggior parte degli irlandesi, anche in seguito alle notizie diffuse dalla stampa, abbia una visione gonfiata riguardo alla pedofilia nella Chiesa. Per la gente il numero di preti pedofili nel Paese è di gran lunga maggiore di quanti in realtà si sono macchiati di questo crimine.

Paolo Rodari, Il Foglio