giovedì 11 ottobre 2012

Benedetto XVI e il Concilio Vaticano II: quasi tutto è cambiato, ma è rimasta la fedeltà del Signore. Lui è lo stesso ieri, oggi e sempre, e questa è la nostra certezza, che ci dà la strada al futuro

Il Pontificato di Benedetto XVI è attraversato da due anniversari molto significativi: il quarantesimo della conclusione del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), a pochi mesi dalla sua elezione al Soglio di Pietro e il cinquantesimo dell'inizio del Concilio, occasione questa che il Pontefice ha voluto sottolineare indicendo un Anno della fede con inizio l'11 ottobre, data di apertura, nel 1962, dell'assise conciliare. Egli stesso del resto non si è sottratto durante il suo Pontificato al confronto con il Concilio. Centrale in tal senso è rimasto il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, dove Benedetto XVI insiste sulla necessità di rinunciare a qualsiasi logica di discontinuità nell'accostarsi ai temi del Concilio e preferire "l'ermeneutica della riforma", della "novità nella continuità", l'unica che può permettere al seme buono della fede, seminato allora, di crescere e di svilupparsi ancora. Del resto il Concilio e la sua storia sono entrati presto a far parte della vita di Joseph Ratzinger, fin da quando egli, in qualità di perito, poté parteciparvi. Questo fatto ha un forte valore di testimonianza e fa sì che Benedetto XVI sovente torni a darci una lettura storica di quell'evento. Perché un Concilio? Quali furono le sue motivazioni? "Il Vaticano II doveva esprimersi sulle componenti istituzionali della Chiesa: sui vescovi e sul Pontefice, sui sacerdoti, i laici e i religiosi nella loro comunione e nelle loro relazioni; doveva descrivere la Chiesa in cammino" (8 dicembre 2005). Si sentiva, afferma il Papa, la necessità che la Chiesa si confrontasse con le istanze che la modernità e il nuovo ordine mondiale presentavano e ponevano all'attenzione delle coscienze. Ci si trovava di fronte a "un mondo che l’epoca moderna aveva profondamente trasformato e che per la prima volta nella storia si trovava di fronte alla sfida di una civiltà globale, dove il centro non poteva più essere l’Europa e nemmeno quelli che chiamiamo l’Occidente e il Nord del mondo" (6 gennaio 2007). La Chiesa, ci dice Benedetto XVI, era impegnata in un grande sforzo di aggiornamento, di confronto con la storia, di discernimento dei "segni dei tempi": "Così da sé stessa essa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro, evitando i suoi errori e vicoli senza uscita" (12 maggio 2010). Accanto a questa lettura "prima", più storica del Concilio, fornitaci dal "testimone" Joseph Ratzinger, Benedetto XVI ha sviluppato durante il suo Pontificato una lettura "seconda" dell'assise conciliare. A questo livello è più il teologo a parlare che il testimone. Qual era la natura e la funzione del Concilio? "Ogni Concilio nasce dalla Chiesa e alla Chiesa torna", dice il Papa (1 ottobre 2008), proprio per indicare questo sforzo di autocoscienza, di presa di consapevolezza che la Chiesa compie su se stessa. Non ci sarebbe quell'aggiornamento, di cui si è detto più sopra, senza questo movimento di riflessione e di approfondimento di sé e della sua essenza. Che cos'è la Chiesa? E' forse un'organizzazione, un apparato, soltanto un'Istituzione? Niente di tutto questo: "La Chiesa non è semplicemente una grande struttura, uno di quegli enti sovranazionali che esistono". "La Chiesa non è una organizzazione...non è un corpo amministrativo o di potere, non è una agenzia sociale, benché faccia un lavoro sociale e sovranazionale". "La Chiesa, pur essendo corpo, è corpo di Cristo e quindi un corpo spirituale...È una realtà spirituale" (22 febbraio 2007). Benedetto XVI riprende esplicitamente il passaggio della "Lumen Gentium" (cap.7) per restituire il senso della nuova sensibilità ecclesiale che si è maturata nel Concilio. Lo sforzo di autocoscienza della Chiesa trova il suo fondamento nel suo essere essa stesso centro di quel mistero eucaristico in cui Cristo dà il suo Corpo e la fa suo Corpo (10 dicembre 2008). Questa presenza di Cristo alla sua Chiesa, ribadita e ripresa in ogni intervento come un leitmotiv del suo magistero, ci riporta a un "terzo livello" di lettura che Benedetto XVI sviluppa sul Concilio. Qui, rispetto a quella del testimone e del teologo, o del testimone-teologo, si sente di più la voce del Papa, il cui ministero, come ha avuto modo di dire durante la cerimonia di insediamento sulla Cattedra di vescovo di Roma in San Giovanni in Laterano, "è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola" (7 maggio 2005). Sicuramente la Chiesa nelle coordinate del Concilio continua a trovare il suo orientamento e la sua "bussola" (secondo un'immagine di Giovanni Paolo II, "Novo millennio ineunte", 57) per cercare le risposte alle domande più pressanti dell'uomo del XXI secolo. Tuttavia ago di questa bussola è sempre Cristo. C'è una priorità ontologica di Cristo anche rispetto al Concilio, come già il Concilio a suo tempo aveva riconosciuto, definendolo "l'alfa e l'omega", principio e termine di tutto ("Gaudium et spes", cap.45). Ciò che Benedetto XVI tende a far risaltare alle coscienze contemporanee è proprio la centralità di Cristo e che compito della Chiesa è "annunciare e testimoniare Lui, perché l’uomo, ogni uomo possa realizzare pienamente la sua vocazione" (20 novembre 2005). In questo senso, ricordando retrospettivamente gli anni del Vaticano II, così Benedetto XVI si esprime con un pensiero che di questo sforzo di unione, di cui si fa interprete e garante il Pontefice, di ricapitolare e di ricondurre tutto a Cristo può rappresentare la sintesi e il suggello: "[In questi anni] quasi tutto è cambiato, ma è rimasta la fedeltà del Signore. Lui è lo stesso ieri, oggi e sempre: e questa è la nostra certezza, che ci dà la strada al futuro. Il momento della memoria, il momento della gratitudine è anche il momento della speranza: 'In te Domine speravi, non confundar in aeternum'" (1° luglio 2011).

Lucio Coco, Korazym.org