sabato 12 settembre 2009

Ordinazioni episcopali. Il Papa: siate servi che non lavorano per se stessi, ma per condurre gli uomini a Dio con fedeltà, prudenza e bontà

Fedele, prudente e buono: deve essere così il servo di Dio. Benedetto XVI lo ha ribadito stamani nella Basilica Vaticana, durante la Messa per le ordinazioni episcopali di cinque nuovi vescovi: mons. Gabriele Giordano Caccia, nunzio apostolico in Libano, mons. Franco Coppola, nunzio apostolico in Burundi, mons. Pietro Parolin, nunzio apostolico in Venezuela, mons. Raffaello Martinelli, vescovo di Frascati, mons. Giorgio Corbellini, presidente Ufficio Lavoro della Sede Apostolica. Alla Messa hanno partecipato, tra gli altri, i cardinali Tarcisio Bertone, Giovanni Battista Re e William Joseph Levada.
Nella sua appassionata omelia, il Papa ha auspicato che i vescovi non cerchino potere e prestigio ma si impegnino a condurre gli uomini verso Dio. “Essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio”: è questo, ha sottolineato Benedetto XVI, “il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e insieme la vera essenza del suo Sacerdozio”. Un messaggio che il Papa ha voluto consegnare ai cinque nuovi vescovi, esortandoli a portare nel mondo “il lieto annunzio, la vera libertà e la speranza che fa vivere l’uomo e lo risana”. Nella sua riflessione sull’identità del vescovo, il Pontefice è partito dalla domanda di San Paolo, di fronte ai litigi che scuotevano la giovane Chiesa di Corinto: cosa è mai un Apostolo? Un interrogativo, ha spiegato il Papa, a cui il Signore stesso risponde indicando le tre caratteristiche fondamentali per servirlo nel modo giusto. Innanzitutto la fedeltà, nella consapevolezza che “la Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio”.
“Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”. La fedeltà, ha proseguito, “non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo”. La fede “richiede di essere trasmessa: non ci è stata consegnata soltanto per noi stessi”. La fedeltà, ha sottolineato, coincide con la fede. “La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa”. La seconda caratteristica che Gesù richiede dal servo è la prudenza che, ha affermato il Papa, “è una cosa diversa dall’astuzia”. La prudenza indica il primato della verità che diventa il criterio del nostro agire. “La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme. Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera. Dio, per mezzo di Gesù Cristo, ci ha spalancato la finestra della verità che, di fronte alle sole forze nostre, rimane spesso stretta e soltanto in parte trasparente”.
La prima virtù cardinale del sacerdote ministro di Gesù Cristo, ha aggiunto, consiste dunque “nel lasciarsi plasmare dalla verità che Cristo ci mostra”. “In questa maniera diventiamo uomini veramente ragionevoli, che giudicano in base all’insieme e non a partire da dettagli casuali. Non ci lasciamo guidare dalla piccola finestra della nostra personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita”. Infine, la caratteristica della bontà. Buono in senso pieno, ha rammentato il Papa, “è solo Dio. Egli è il bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona”. “In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui”. Il Papa ha infine ricordato che la Chiesa celebra oggi il “Nome di Maria”, che nella tradizione occidentale è stato tradotto con “Stella del Mare”. Quando la notte sembra “impenetrabile”, ha detto il Pontefice, vediamo molto vicina la luce che si accese quando Maria disse: “Ecco sono la serva del Signore”. Nella sua bontà, ha proseguito, “riconosciamo in maniera molto umana la bontà di Dio stesso”. Quindi, ha concluso l’omelia con un augurio affettuoso ai nuovi presuli: "Preghiamo perché diventiate servi fedeli, prudenti e buoni e così possiate un giorno sentire dal Signore della storia la parola: Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone".

Radio Vaticana