giovedì 1 ottobre 2009

Il Papa e Miguel Diaz: perché Benedetto XVI dall’ambasciatore statunitense in Vaticano vuole diplomazia e non teologia

di Paolo Rodari
Il Foglio

C’è grande attesa nei Sacri Palazzi per la prima nelle mura leonine del nuovo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Miguel H. Diaz. E’, infatti, domani che questi è chiamato a presentare le lettere credenziali davanti al Pontefice. Un appuntamento atteso soprattutto per quanto dirà il Papa. Sempre, infatti, alla presentazione delle lettere credenziali, il Pontefice rivolge ai nuovi diplomatici un breve discorso. Secondo quanto apprende il Foglio, Benedetto XVI ricorderà la visita negli Stati Uniti dell’aprile 2008: Ratzinger ricevette un’ottima accoglienza, la visita fu uno dei punti più alti, quanto a relazioni diplomatiche, dell’intero pontificato, e il ricordo di quei giorni sarà nelle parole di domani. Insieme, il Pontefice, elogerà lo spazio che viene concesso alla Chiesa nel dibattito pubblico del paese. Del resto, non è una novità: il modello di “laicità aperta” proprio degli States è amato dal Pontefice il quale ritiene sia la strada da percorrere anche nel Vecchio continente. Certo, a non tutti i temi cari alla Chiesa viene concessa negli Usa la medesima rilevanza. Molte tematiche cosiddette etiche, ad esempio, vengono relegate in secondo piano, a volte apertamente osteggiate, e anche questo aspetto sarà considerato nel discorso papale.
Quello che il Vaticano si attende da Diaz è semplice. Più che un’opera di persuasione delle gerarchie più diffidenti circa la bontà dell’Amministrazione Obama, oltre il Tevere si aspettano da lui che faccia il diplomatico sino in fondo. Ovvero, che abbandoni, per il tempo dell’incarico romano, i panni del teologo indossati fino a ieri per vestire soltanto quelli del rappresentante di governo. Fare teologia, infatti, intervenire sulle questioni vaticane secondo un punto di vista teologico, non è affare di diplomazia, e la cosa vale anche per gli ambasciatori che sono accreditati presso la Santa Sede.
Non è da escludere che dietro quest’auspicio del Vaticano vi sia un qualche timore per alcune delle posizioni che lo stesso Diaz prese in passato. Nella campagna elettorale per le ultime presidenziali, ad esempio, non è un mistero il fatto che Diaz fu tra i ventisei intellettuali cattolici che sostennero la nomina di Kathleen Sebelius alla carica di segretario alla Salute. Fu una nomina aspramente criticata dai settori cattolici americani più conservatori, quella della Sebelius, a motivo delle sue posizioni “pro choice” riguardo l’aborto.
Diaz, 45 anni, è di origine cubane. Sposato con quattro figli, parla italiano, spagnolo e francese. Ma, come viene evidenziato sulla breve biografia pubblicata sul sito ufficiale dell’ambasciata americana presso il Vaticano, sa leggere il latino. Insegna Teologia alla Saint John’s University e al College of Saint Benedict in Minnesota. Ha ottenuto un master in Teologia all’Università di Notre Dame ed è stato, in passato, presidente dell’Accademia di teologia dei cattolici ispanici degli Stati Uniti. Al suo arrivo a Roma ha detto di attendere “con emozione” di incontrare Benedetto XVI: “Accolgo con grande piacere – ha spiegato – l’occasione di approfondire e ampliare le speciali relazioni che sono state stabilite tra gli Stati Uniti d’America e la Santa Sede negli ultimi 25 anni di rapporti diplomatici ufficiali”. E’, dunque, la medesima attesa del Vaticano.Diaz nel suo lavoro diplomatico non sarà solo. Giusto ieri sera, infatti, un ricevimento all’ambasciata Usa presso la Santa Sede, ha “battezzato” l’arrivo del nuovo funzionario degli Affari pubblici, J. Nathan Bland. A fare gli onori di casa è stata Julieta Valls Noyes. Oltre a loro, aiuteranno il neo ambasciatore, Brenda Soya (management officer) e Antonio G. Agnone (political/economic officer).