venerdì 19 febbraio 2010

Il clero romano e l'incontro con il loro vescovo: una 'lectio divina' edificante, ci ha richiamato a valorizzare nel senso più pieno la nostra umanità

"Veni, Creator Spiritus, mentes tuo­rum visita…". I sacerdoti romani cantano l’inno e accolgono Benedetto XVI nell’Aula delle Benedizio­ni, per il tradizionale in­contro all’inizio della Qua­resima. Ascoltano attenti la lectio divina sulla Lette­ra agli Ebrei. E al termine, dopo aver salutato con af­fetto il Papa, il loro vesco­vo, riflettono insieme, si scambiano opinioni. Ciascuno tornerà in parroc­chia pronto ad affrontare gli impegni pastorali con rinnovato vigore. Ne è sicuro don Enrico Rampone, viceparroco nella comunità del Pre­ziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. "Quello che mi piace sem­pre di questo appunta­mento – sottolinea – è che si tratta di un’occasione per incontrare da vicino il nostro vescovo, che è an­che un po’ il vescovo del mondo". Ma rispetto al passato c’è una novità: il Pontefice ha tenuto ieri una lectio, mentre gli anni scorsi l’incontro era sem­pre strutturato come un dialogo, con le domande di alcuni presbiteri e le ri­sposte del Santo Padre. "Mi ha colpito molto il passaggio sulla sofferenza di Cristo – aggiunge don Enrico –. Il Papa ha invita­to noi sacerdoti a seguire l’esempio di Gesù, parte­cipando alle sofferenze dell’essere umano. Questo è un punto centrale del sa­cerdozio". Concorda don Giampiero, parroco: "Il sa­cerdote è chiamato a condividere le gioie e le soffe­renze con tutte le persone che fanno parte della co­munità cristiana, come ha fatto Cristo. Si tratta di va­lorizzare la nostra 'uma­nità' nel senso più pieno del termine, come com­passione, capacità di piangere anche, quando serve". La parola 'compassione' torna nelle riflessioni di don Daniele Salera, edu­catore al Pontificio Semi­nario Romano Maggiore. "L’incarnazione ha porta­to Cristo a compatire, nel senso più letterale del ter­mine, le grida e le soffe­renze dell’umanità. E il sa­cerdozio è sicuramente u­na via per compatire". Un aspetto su cui si punta molto, nei vari Seminari della diocesi. "Al giorno d’oggi arrivano da noi tan­ti ragazzi portati a un a­scolto del sé più che dei bisogni degli altri – osser­va don Salera –. Hanno di­versi punti deboli, causa­ti dalla cultura di cui sono imbevuti, legata al soddi­sfacimento immediato dei propri bisogni. La forma­zione sacerdotale, al con­trario, insegna alla rinun­cia, e la più grande è pro­prio quella alla propria vo­lontà. Siamo chiamati all’obbedienza". Da inten­dersi, però, come "valore evangelico legato al sacer­dozio di Gesù", commen­ta don Marco Vianello, che guida la comunità di San Saturnino. "È da rileggere nell’ottica dell’obbedien­za di Gesù al Padre – spie­ga il parroco – e in questo senso assume un valore molto importante". Don Marco ha apprezzato mol­to la formula della lectio: "Quello di oggi (ieri) è stato un incontro meno dialogato, ma a mio avvi­so più positivo e costrutti­vo rispetto al passato". Gli fa eco don Francesco, col­laboratore in una parrocchia dell’Eur: "Un’idea molto edificante, che ci ha fatto riflettere in modo po­sitivo".

Giulia Rocchi, Avvenire