Esequie del card. Poggi. Il Papa: testimone della fede coraggiosa che sa fidarsi di Dio. La parola di Cristo rischiara la vita e le conferisce valore
“Testimone di quella fede coraggiosa che sa fidarsi di Dio”: così il Papa ha ricordato il card. Luigi Poggi, archivista e bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa, scomparso martedì scorso all’età di 92 anni. Nella Basilica Vaticana, Benedetto XVI ha presieduto il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio del porporato, al termine delle esequie celebrate dal card. Angelo Sodano. Nella sua omelia, il Papa ha ripercorso la lunga vita del card. Poggi, “fedele servitore del Vangelo e della Chiesa” ed ha ribadito la speranza nella resurrezione. Dinanzi al mistero della morte, “per l’uomo che non ha fede tutto sembrerebbe irrimediabilmente perduto. È la parola di Cristo, allora, a rischiarare il cammino della vita e a conferire valore ad ogni suo momento”. E' partito da questo Benedetto XVI per ricordare il card. Poggi, ribadendo che “il dolore per la perdita della sua persona viene mitigato dalla speranza nella resurrezione, fondata sulla parola stessa di Gesù”. "Gesù Cristo è il Signore della vita, ed è venuto per risuscitare nell’ultimo giorno tutto quello che il Padre gli ha affidato. Questo è anche il messaggio che Pietro annuncia con grande forza nel giorno di Pentecoste. Egli mostra che Gesù non poteva essere trattenuto dalla morte. Dio lo ha sciolto dalle sue angosce, perché non era possibile che essa lo tenesse in suo potere. Sulla croce Cristo ha riportato la vittoria, che si doveva manifestare con un superamento della morte, cioè con la sua risurrezione". Quindi, il Santo Padre ha ripercorso la vita del card. Poggi, ricordando la sua “missione sacerdotale” presso la Segreteria di Stato negli “anni difficili” del 1945, poi l’impegno in Africa e in Perù negli anni ’70, quindi l’operato di nunzio apostolico con incarichi speciali per i Paesi dell’Europa dell’Est, fino a diventare “un protagonista della ostpolitik vaticana nei Paesi del blocco comunista”, alla scuola del card. Casaroli. Negli anni ’80, il porporato diventa nunzio apostolico in Italia, e si occupa delle provviste vescovili e della “delicata fase di riordinamento delle diocesi italiane”. “Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui”, ha continuato Benedetto XVI citando San Paolo, ricordando che “chi è morto, è liberato dal peccato”: "L’unione sacramentale, ma reale, con il Mistero pasquale di Cristo apre al battezzato la prospettiva di partecipare alla sua stessa gloria. E questo ha una conseguenza già per la vita di quaggiù, perché, se in virtù del battesimo noi già partecipiamo alla risurrezione di Cristo, allora già adesso 'possiamo camminare in una vita nuova'". Ecco perché, ha concluso Benedetto XVI, la morte di un fratello in Cristo “è sempre motivo di intimo e riconoscente stupore per il disegno della divina paternità, che ci libera dal potere delle tenebre e ci trasferisce nel regno del suo Figlio diletto”.
Radio Vaticana