La storia cristiana ha sempre annoverato persone che sono rimaste fedeli alla Chiesa e al Papa nonostante le persecuzioni. Uno di questi testimoni è stato il famoso teologo medievale Giovanni Duns Scoto, al quale Benedetto XVI ha dedicato la catechesi dell’Udienza generale di questa mattina, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, l'ultima prima della pausa estiva. Il “grande sogno” dell’umanità di tutti i tempi si chiama libertà. Un valore cercato ed enfatizzato “particolarmente nell’epoca moderna”, ricordava un anno e mezzo fa il Papa ai seminaristi di Roma. Ma quali sono i confini di questo sogno, per inseguire e difendere il quale innumerevoli persone hanno sacrificato tutto di se stesse? Il Papa ha spiegato che il teologo scozzese del XIII secolo Scoto aveva chiarito un punto sul quale gli intellettuali del tempo si arrovellavano: la libertà, affermò, è una “qualità fondamentale della volontà” umana, che tuttavia resterebbe incompiuta se fosse assolutizzata e non si ponesse all’ascolto di Dio: "La storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti". Invece, ha obiettato Benedetto XVI, “la libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando quella disposizione all’ascolto della Sua voce, che egli chiama potentia oboedientialis: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi". In precedenza, riflettendo su un episodio della vita di Duns Scoto, che preferì l’esilio volontario piuttosto che firmare un documento ostile al Papa, come avrebbe preteso il re Filippo il Bello, il Papa ha tratto questa considerazione: "Cari fratelli e sorelle, questo fatto ci invita a ricordare quante volte, nella storia della Chiesa, i credenti hanno incontrato ostilità e subito perfino persecuzioni a causa della loro fedeltà e della loro devozione a Cristo, alla Chiesa e al Papa. Noi tutti guardiamo con ammirazione a questi cristiani, che ci insegnano a custodire come un bene prezioso la fede in Cristo e la comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale". Benedetto XVI si è soffermato a lungo sulle qualità intellettuali di Duns Scoto, che gli valsero in tempi antichi l’appellativo di “Dottore Sottile”, per l’acume che lo distingueva in campo teologico, e in tempi più recenti l'ammirazione di Giovanni Paolo II, che beatificandolo nel 1993 lo definì “cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione”. Nel primo caso, Duns Scoto avanzò un pensiero “sorprendente”: Cristo, disse, “si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato”. In altre parole, ha osservato Benedetto XVI, "Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente". Ugualmente profondo l’argomento portato a sostegno dell’Immacolata Concezione di Maria, tanto che Pio IX lo adottò 500 anni dopo nel formularne il dogma. Per Maria, asserì Duns Scoto, agì la “Redenzione preventiva”: la Madre, cioè, fu il “capolavoro” della Redenzione operata dal Figlio e per questo fu “preservata dal peccato originale”. Questa intuizione, in realtà, sublimava, ha detto il Papa, ciò che la gente “credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine” e questo fatto ha suggerito a Benedetto XVI una nuova riflessione sul lavoro dei teologi e sul rispetto che esso deve al comune sentire della fede: “Il Popolo di Dio precede i teologi e tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare la realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. In questo senso, il Popolo di Dio è ‘magistero che precede’, e che poi deve essere approfondito e intellettualmente accolto dalla teologia. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente della fede e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli”. Il Beato Duns Scoto, ha concluso il Papa ci insegna in definitiva “che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa”: “Come a Manila il Papa Paolo VI, anch’io oggi vorrei gridare al mondo: ‘[Cristo] è il rivelatore di Dio invisibile,...è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore...Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita...Io non finirei più di parlare di Lui”. Benedetto XVI, al termine dei saluti nelle varie lingue, ha rivolto un pensiero all’Istituto dei Figli dell’Immacolata Concezione, prossimo a celebrare il Capitolo generale e in modo analogo ha salutato le Piccole Apostole della Redenzione. Un augurio speciale, il Papa lo ha rivolto alla Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva. Poi un pensiero speciale “ai giovani, ai malati e agli sposi novelli” durante i saluti ai pellegrini italiani. Ieri, ha ricordato il Santo Padre, “ricorreva la memoria liturgica di Santa Maria Goretti, vergine e martire: una ragazza che, seppure giovanissima, seppe dimostrare forza e coraggio contro il male”. Ed è proprio a Santa Maria Goretti che il Papa si rivolge “per voi, cari giovani, perché vi aiuti a scegliere sempre il bene, anche quando costa; per voi, cari malati, perché vi sostenga nel sopportare le sofferenze quotidiane; e per voi, cari sposi novelli, affinché il vostro amore sia sempre fedele e colmo di rispetto reciproco”. E accennando, infine, con i pellegrini polacchi al suo trasferimento, nel pomeriggio, alla sua residenza estiva ha concluso: “Vi saluto di cuore, vi benedico e chiedo la vostra preghiera nei giorni del mio soggiorno a Castel Gandolfo”.
Radio Vaticana, SIR