mercoledì 7 luglio 2010

L’ermeneutica del Concilio Vaticano II, il leitmotiv della sua carriera teologica, sarà il tema del seminario estivo del Papa con gli ex alunni

Dicono i più sofisticati osservatori di cose vaticane che per capire chi sia davvero Joseph Ratzinger occorre farsi raccontare dei seminari di fine estate che organizza a porte chiuse assieme a una quarantina di ex alunni, il cosiddetto "Ratzinger Schülerkreis". Qui l’attuale Pontefice “si sente come Gesù in mezzo ai dottori” disse nel libro di Gianni Valente “Ratzinger professore” padre Martin Trimpe, uno degli allievi che gli fu più vicino negli anni di Tubinga e Ratisbona. E ancora: “Mordicchia il lapis, agita le gambe sotto il banco e appare mosso dalla stessa passione e curiosità che già animava il ragazzo di Frisinga ai tempi del seminario”. Una passione che diventa gioia: “A Ratzinger piace tantissimo stare coi suoi ex allievi perché con loro prova una specie di gioia teologica”. Così da anni. Così ancora oggi che è divenuto Benedetto XVI. Dopo il lungo servizio prestato all’ex Sant’Uffizio, non è un mistero per nessuno che avrebbe preferito trascorrere i suoi giorni in Baviera, lontano dai frastuoni di Roma e dalle beghe della curia, circondato soltanto dal silenzio dei suoi libri. Ma “i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”, disse il giorno dell’elezione affacciandosi dalla loggia centrale della Basilica Vaticana. E così il sogno del ritiro nella gioia dello studio e della riflessione è stato ridimensionato, seppure non del tutto abbandonato. La sera, ancora, Papa Ratzinger trova il tempo per studiare. Specialmente in estate. Ore di immersione che trovano il loro apogeo nei summit di fine stagione. E’ anche nella scelta dei temi di questi incontri che il vero volto di Joseph Ratzinger viene fuori: nel 2005, la prima estate da Papa, scelse il concetto di Dio nell’islam. Poche ore dopo il summit uno dei partecipanti, il gesuita americano Joseph Fessio, rivelò quanto il Papa aveva detto. Scoppiarono proteste e ci fu parecchio rumore. Fu, in sostanza, un anticipo di Ratisbona. Poi, per due anni (2006-2007), fu la volta di “Schöpfung und Evolution”, creazione ed evoluzione. Nel 2008 l’ordine del giorno prevedeva il rapporto tra i vangeli e Gesù, argomento che ricorre in tutte le pagine del suo libro “Gesù di Nazaret”. Quindi il 2009, con la missione Cella chiesa. E poi? Nel 2010 il tema è il leitmotiv di tutta la carriera teologica del Papa: l’ermeneutica del Concilio Vaticano II. Anche qui la domanda ritorna: chi è davvero Joseph Ratzinger? L’affossatore delle riforme innescate dal Concilio o il provvidenziale “fustigatore” di tutte le presunte storture da esso partorite? Da giovane Papa Ratzinger partecipò come protagonista alle iniziative dell’ala riformista del Vaticano II. Ma, come spiegò a Vittorio Messori quando gli chiese conto del suo lavoro a fianco dei teologi progressisti negli anni sessanta, “non sono cambiato io, sono cambiati loro”. Come a dire: il vero riformismo, nella Chiesa, non è quello messo in campo dai teologi suoi amici dopo il Concilio, non è quello che recide il legame col passato e apre incondizionatamente al secolo. Il rinnovamento è riforma nella continuità. A Castel Gandolfo sarà presente una buona rappresentanza dell’intellighenzia teologica centroeuropea: dal nuovo “ministro dell’ecumenismo”, lo svizzero Kurt Koch, fino a Christoph Schönborn, il cardinale arcivescovo di Vienna che una settimana fa Papa Ratzinger ha richiamato mostrandogli il volto dell’antico maestro.

Paolo Rodari, Il Foglio