martedì 23 novembre 2010

'Luce del mondo'. Il Papa: sugli abusi del clero conta in primo luogo la guarigione delle vittime. La Comunione in ginocchio e i divorziati

La pedofilia nella Chiesa. ''Quello che conta è in primo luogo che ci si prenda cura delle vittime e si stia al loro gianco il più possibile per aiutarle a guarire - sottolinea il Pontefice -; poi che si prevengano atti simili mediante un'accurata cernita dei candidati al sacerdozio, quanto più è possibile; ed infine che i colpevoli siano puniti e venga loro impedita ogni possibilità di ripetere tali azioni''. Quanto al rendere pubblici i casi, ''credo sia una questione a parte - spiega papa Ratzinger -, alla quale potrà darsi risposta considerando anche le diverse fasi della presa di coscienza dell'opinione pubblica''. ''Quello però che non deve mai succedere - ammonisce il Papa - è che si fugga e si faccia finta di non vedere e si lasci che i colpevoli continuino nei loro misfatti''. ''E' necessaria quindi - conclude - vigilanza da parte della Chiesa, che punisca chi ha mancato e soprattutto che lo escluda da qualsiasi altra possibilità di entrare in contatto con dei bambini. Al primissimo posto c'è, come ho detto, l'amore per le vittime, fare loro tutto il bene possibile per aiutarle ad elaborare quello che hanno vissuto''. Alle vittime di abusi sessuali nella Chiesa che ha incontrato a più riprese durante i viaggi del suo pontificato, Benedetto XVI confessa di non aver potuto dire ''nulla di particolare'': ''Gli ho detto che mi sentivo toccato nel profondo; che soffrivo con loro. Non era un modo di dire, perchè veramente sono stato colpito al cuore''. ''Ho potuto dire loro - aggiunge ancora il Pontefice - che la Chiesa farà il possibile affinchè questo non accada mai più e che desideriamo aiutarli nel miglior modo possibile. E infine, che li ricordiamo nelle nostre preghiere e che li preghiamo di non perdere la fede in Cristo, vera luce, e nella comunità viva della Chiesa''. ''In Irlanda - afferma poi il Papa - il problema si pone in termini del tutto particolari. Si tratta per così dire di una società cattolica chiusa che è rimasta fedele alla sua fede nonostante secoli di oppressione, nella quale però evidentemente hanno potuto svilupparsi determinati atteggiamenti''. ''Così - aggiunge il Pontefice - la fede come tale diviene non più credibile, la Chiesa non può più proporsi in maniera convincente come annunciatrice del Signore. Tutto questo ci ha sconvolti, mi scuote ancora oggi nell'intimo''.
La Comunione. ''Non sono contro la Comunione in mano per principio - spiega Papa Ratzinger -, io stesso l'ho amministrata così ed in quel modo l'ho anche ricevuta''. Ma, aggiunge, ''facendo sì che la Comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di timore e mettere un punto esclamativo circa la Presenza reale'' di Gesù nell'ostia. ''Non da ultimo - prosegue - perchè proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella Basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell'appiattimento è grande. Ho sentito di persone che si mettono la Comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi. In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la Comunione - della serie: tutti vanno in avanti, allora lo faccio anch'io - volevo dare un segnale forte, deve essere chiaro questo: 'E' qualcosa di particolare! Qui c'è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale qualsiasi al quale si può partecipare o meno'''.
I divorziati e l'Eucaristia. ''Certo che bisogna farlo'': Benedetto XVI risponde senza esitazioni al giornalista Peter Seewald che gli chiede se, come aveva già affermato una volta da cardinale, il tema della comunione ai divorziati risposati debba essere ''approfondito''. ''Da un lato - spiega Papa Ratzinger - vi è la certezza di quello che il Signore ci dice: il matrimonio contratto nella fede è indissolubile. E' una parola che non possiamo manipolare, dobbiamo mantenerla intatta, anche se contraddice gli stili di vita oggi dominanti''. Tuttavia, aggiunge il Pontefice, ''quello che si può fare è da un lato analizzare più a fondo la questione della validità dei matrimoni. Fino ad oggi il diritto ecclesiastico ha presupposto che chi contraeva matrimonio sapesse che cos'è il matrimonio. Nell'odierno groviglio di opinioni e in una costellazione totalmente mutata, è più facile che si creda che corrisponde maggiormente alla normalità rompere un matrimonio. E allora è necessario chiedersi come riconoscere la validità e come sia possibile operare per una guarigione''. Per il Pontefice, però, ''cedere o abbassare l'indice non aiuterebbe la società ad innalzare il proprio livello morale. Mantenere come criterio di giudizio ciò che è difficile, fare in modo che sia questo il metro al quale gli uomini possano sempre commisurarsi, è un compito necessario affinchè non seguano altre cadute''. Per questo, ''la pastorale dovrà allora vedere come restare vicina alla singola persona e, anche nella situazione diciamo irregolare, aiutarla a credere in Gesù Cristo Redentore, a credere alla sua bontà, e che Lui è ancora lì per lei, anche se non può ricevere la Comunione; ed è restare nella Chiesa, anche se la condizione in cui vive non e' in ordine dal punto di vista del diritto ecclesiastico''.


Asca