giovedì 20 gennaio 2011

I silenzi d’Irlanda, quando la Chiesa chiedeva di tacere sulla pedofilia. Sbuca una lettera del 1997. Poi la linea di Wojtyla-Castrillón Hoyos cambiò

La “smoking gun”, la “pistola fumante” con la quale da mesi si tenta di provare l’acquiescenza del Vaticano nei confronti dei preti pedofili si è materializzata nelle scorse ore sul canale televisivo irlandese Rte ed è stata rilanciata, immediatamente dopo, dal New York Times. Si tratta di un dispaccio datato 31 gennaio 1997 e indirizzato da mons. Luciano Storero, allora nunzio apostolico del Vaticano in Irlanda, a tutti i vescovi irlandesi. Storero informa che il Vaticano ha molte riserve sulla denuncia obbligatoria alle autorità giudiziarie per ragioni “morali e canoniche” dei preti colpevoli di pedofilia. Scrive: “I risultati potrebbero essere molto imbarazzanti e dannosi per le stesse autorità diocesane”. A leggere la lettera la conclusione è una e impietosa: il Vaticano preferiva coprire gli abusi al posto di denunziare, insabbiare e non scoperchiare. La lettera esce in un momento non facile per la chiesa irlandese. Nei mesi scorsi i quattro visitatori apostolici incaricati dal Papa di mettere sotto torchio le diocesi del Paese “sporcate” da abusi sessuali di preti su minori e da una innegabile ignavia di alcuni tra i vescovi, hanno cominciato la loro missione. Dopo le prime ispezioni svoltesi in diverse diocesi dall’arcivescovo emerito di Westminster Cormac Murphy-O’Connor, dall’arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley, dall’arcivescovo di Toronto Thomas Christopher Collins e dall’arcivescovo di Ottawa Terrence Thomas Prendergast, è ora la volta del quinto visitatore, ovvero Timothy Dolan, arcivescovo di New York e capo della Conferenza Episcopale statunitense, incaricato di ispezionare i seminari per accertare come vengano formati i futuri preti. Dolan, che nel marzo scorso era stato protagonista di un violento frontale col New York Times reo, a suo dire, di “sbattere lo scandalo dei pedofili ogni giorno in prima pagina” mentre certe cose “agli ebrei, ai neri, agli islamici o ai gay, non pensano mai di farle”, viene ora accolto in Irlanda dalle dichiarazioni al vetriolo di Colm O’Gorman, vittima di abusi e ora direttore di Amnesty International nel paese. O’Gorman ha così commentato la lettera di Storero del 1997: “E’ evidente che è il Vaticano la radice di questo problema”. E ancora: “Hanno deliberatamente e volontariamente istruito i vescovi a non rivelare i nomi dei sacerdoti alle autorità civili”. Decisa la reazione del portavoce vaticano padre Federico Lombardi. Per lui la lettera rappresenta semplicemente l’approccio al problema che la Congregazione per il clero metteva in campo prima del 2001. Quell’anno, Giovanni Paolo II affidò alla Congregazione per la Dottrina della Fede, allora guidata dal futuro Papa Benedetto XVI, il trattamento di tali casi. Dice Lombardi: “Questo approccio è stato superato, compresa la questione della collaborazione con le autorità civili”. La Congregazione per il clero, diretta allora dal cardinale colombiano Darío Castrillón Hoyos, torna sempre fuori. E’ in un certo senso sempre Castrillón Hoyos il capro espiatorio di un atteggiamento giudicato a posteriori sbagliato. Sentito da Il Foglio, Castrillón Hoyos preferisce non parlare dell’ultima vicenda e rimanere, come fa da mesi, in silenzio. Già la scorsa primavera il cardinale colombiano era stato accusato per un episodio risalente al 2001, ovvero una lettera scritta al vescovo francese Pierre Pican nella quale si congratulava con lui per non aver denunciato alle autorità civili René Bissey, un sacerdote pedofilo seriale della sua diocesi. Castrillón Hoyos già allora rifiutò il ruolo dell’unico grande insabbiatore del Vaticano, quasi che l’atteggiamento manifestato nella lettera fosse un suo errore, frutto di un atteggiamento personale, di una decisione isolata. E spiegò che la lettera venne autorizzata da Giovanni Paolo II. Era quella, infatti, la linea del Papa polacco e della Curia che lo coadiuvava. E nel febbraio del 2002 fu l’allora segretario per la Dottrina della fede, Tarcisio Bertone, a dire a 30Giorni queste parole: “A mio parere non ha fondamento la pretesa che un vescovo sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso un reato di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve anche rispettare il ‘segreto professionale’ dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile”.

Paolo Rodari, Il Foglio