Paolo Rodari, Il Foglio
sabato 29 gennaio 2011
La cattedra di Ambrogio. Martiniani, ciellini e outsider: Benedetto XVI sceglie la guida per la diocesi di Milano, una delle più importanti al mondo
Il nunzio vaticano in Italia, Giuseppe Bertello, ha pronte le lettere da spedire a tutti i vescovi della Lombardia e a quei cardinali che in Italia sono a capo delle Conferenze Episcopali regionali. Saranno inviate a ore. Lo scopo è chiedere a tutti i destinatari tre nomi per la successione di quella che è una tra le diocesi più importanti del mondo, Milano (foto). Dicono in città: “Qui il sindaco è un Re e il vescovo è come un Papa”. Forse oggi non è più così, ma il convincimento popolare non è senza senso: all’apertura di ogni conclave, qualsiasi sia il Pontefice il cui regno si è appena concluso, e chiunque sieda sulla cattedra di Ambrogio e Carlo, c’è un nome che tutti gli osservatori sono obbligati a inserire nella lista dei papabili: il nome dell’arcivescovo di Milano.I tempi sono ormai stretti. Il prossimo 14 marzo il card. Dionigi Tettamanzi compirà 77 anni e dopo i due anni di proroga che Papa Ratzinger gli ha concesso, su sua esplicita richiesta, alla guida della chiesa ambrosiana, sarà chiamato a lasciare. In diocesi da Roma ancora ufficialmente non è stato comunicato nulla, ma l’impressione è che tutto potrebbe essere deciso addirittura entro e non oltre marzo stesso. Di qui la domanda che tanto agita le notti di gran parte di coloro che compongono il collegio cardinalizio: chi dopo Tettamanzi? Una domanda non da poco perché, secondo il pensiero di molti, è anche intorno a questa scelta che si gioca una parte importante del futuro della chiesa. Beninteso: non che il successore di Benedetto XVI, quando sarà, sarà per forza il prossimo arcivescovo di Milano. Anzi, in pochissimi oggi scommetterebbero su un esponente italiano. Ma è innegabile che se la scelta del Papa per Milano sarà di quelle considerate di primo piano (e non, dunque, un nome di ripiego o di “transizione”), il designato assumerà un ruolo e un’autorevolezza decisivi all’interno del collegio cardinalizio prima e durante il futuro conclave. Più prima che durante, ovviamente. Infatti, il regno di Papa Ratzinger sembra destinato a durare ancora parecchio. Il tempo, dunque, è propizio per lavorare bene, per riportare la diocesi che fu di San Carlo Borromeo e poi di cardinali come Ferrari, Schuster e Montini ai fasti di un tempo. E, insieme, tessere le migliori strategie in vista dell’elezione del prossimo successore di Pietro. Una volta che i vescovi e i cardinali avranno risposto, mons. Bertello sottoporrà le loro preferenze al Papa, il quale le valuterà con attenzione. Anche se poi farà di testa sua. Agirà autonomamente. Qui più che altre volte. Si dice infatti nella Curia romana che Joseph Ratzinger, soprattutto per la nomina di Milano, non intende restare invischiato nei rivoli delle diverse correnti ecclesiali le quali, come è logico che sia, lavorano per candidati differenti. Tarcisio Bertone è il primo collaboratore del Papa. Quando l’11 ottobre scorso Papa Ratzinger scelse Cesare Nosiglia quale successore di Severino Poletto a Torino, in molti dissero, non senza sbagliare, che il Papa, per la prima volta, disattese il volere di Bertone che a Torino voleva Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria. Nosiglia, dissero in molti, era invece nei desiderata del cardinale Camillo Ruini. Vi fu chi lesse in quella nomina un segnale che qualcosa dentro il pontificato stava cambiando: Joseph Ratzinger prendeva maggiore autonomia dal suo primo collaboratore. La verità, è banale dirlo, sta nel mezzo: il Papa decide sempre in autonomia e i consigli del suo segretario di stato li ascolta, spesso assecondandoli, ma altre volte discostandosene. Nella nomina di Torino si è discostato. Ma non così ha fatto qualche mese dopo, quando ha dovuto scegliere il vescovo di un’altra grande e importante diocesi: Santiago del Cile. Incurante delle voci che descrivono le recenti nomine molto, forse troppo, di stampo salesiano, il Papa ha affidato proprio a un salesiano, Ricardo Ezzati Andrello, la popolosa diocesi sudamericana. Anche per Milano il card. Bertone ha i suoi preferiti. In cima alla lista c’è l’attuale capo del “ministero” della cultura del Vaticano. Nato e cresciuto nell’establishment milanese, amato dalla curia, divulgatore della fede capace di valorizzare l’eredità che fu di Carlo Maria Martini che al progetto della “nuova evangelizzazione” wojtyliana contropropose l’idea della “cattedra dei non credenti”, il neo cardinale Gianfranco Ravasi è la prima prestigiosa opzione di Bertone per Milano. Dietro di lui la seconda scelta, ovvero Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza ma di origini piemontesi come il segretario di stato. Ravasi e Ambrosio sono i candidati ideali per soddisfare quella parte di Milano che spera in una scelta di continuità con la linea martiniana, che a suo modo anche il “centrista” Tettamanzi ha garantito? La risposta non è facile. Ravasi non è un martiniano in senso stretto. E’ cresciuto a Milano, ma dalla città e dalla curia ha saputo emanciparsi. Come Martini ha tra le sue priorità il dialogo con chi non crede – per questo ha ideato l’iniziativa del “Cortile dei gentili” –, scrive su Il Sole 24 Ore ed è amato nei salotti che contano. Ma nello stesso tempo, da raffinato divulgatore, sa stare dove sta il popolo: la sua rubrica settimanale su Radio Maria lo porta vicino a un tipo di devozione aliena, e anche invisa, a una certa chiesa milanese. Tra Ravasi e Ambrosio è quest’ultimo il più martiniano. Formatosi alla facoltà teologica di Milano, cuore pulsante di quella teologia “debole” che a partire dagli anni Settanta ha in parte ceduto acriticamente agli orientamenti e agli influssi più o meno direttamente di radice kantiana provenienti soprattutto d’oltralpe, Ambrosio rappresenterebbe una scelta dal marchio facilmente riconoscibile. Perché, ecclesialmente parlando questa è Milano: la diocesi dove dal post Concilio, e poi nell’epoca di Wojtyla, si è alimentato ed è cresciuto un magistero alternativo a quello romano. Al Cristo al quale spalancare le porte di wojtyliana memoria, si è preferita la proposta di una fede non esente da dubbi, zone grigie e ombre dell’ante-Papa Carlo Maria Martini. Una domanda ancora non ha risposta: su chi davvero puntano i martiniani, dall’emerito Martini al quasi emerito Tettamanzi? Nelle scorse settimane il Corriere della Sera si è speso parecchio per Ravasi. Forse si è speso troppo. Tanto che in Vaticano c’è chi assicura: l’hanno fatto per confondere le acque, il vero candidato di via Solferino è un altro. Tanto che un’altra battuta popolare in riva ai Navigli torna alla mente: “L’arcivescovo di Milano lo decidono al Corriere”. Nei giorni scorsi un blog di La Repubblica ha scritto che Ravasi avrebbe rifiutato la possibilità di andare a Milano. Ha rifiutato, o ha capito che l’ipotesi non è percorribile? La risposta, probabilmente, la conoscono soltanto lui e il Papa. Anche se l’outsider proposto sul Corriere della Sera da Marco Garzonio, biografo ufficiale di Martini, fa capire tante cose. Garzonio ha buttato lì il nome del francescano Pierbattista Pizzaballa, giovane custode di Terra Santa. Scrive addirittura Garzonio: “Per Tettamanzi tale scelta potrebbe comportare una prorogatio di fatto per un anno, in modo da arrivare all’Incontro delle Famiglie”. Come dire: lanciamo Ravasi ma portiamo avanti un candidato diverso, Pizzaballa appunto, uno che ci sia fedele senza necessariamente essere già un nome affermato. Il nome di Pizzaballa lascia intuire che è soprattutto qui che si gioca la vera battaglia: un candidato low profile ma di impostazione martiniana contro un candidato di scuola opposta. Comunione e liberazione è forte a Milano e in tutta la Lombardia. E’ forte politicamente, ha suoi uomini nelle istituzioni locali, ma è molto stimata anche nella curia romana. Nata con uno strappo non indolore dalla Chiesa-istituzione ambrosiana che pure cercava in tutti i modi di resistere, arrancando, ai venti post conciliari, ha mantenuto negli anni il suo forte carattere anti curiale. La curia, e più ancora la struttura territoriale della diocesi e delle parrocchie, da una parte, Cl dall’altra. Giussani è sempre stato nel cuore del Vaticano, di Wojtyla e di Ratzinger, eppure proprio nell’era del grande pontificato del Papa polacco, a Milano sono stati designati due vescovi che al movimento ciellino hanno fatto da contraltare, da argine e da diga. Perché la Chiesa è fatta di pesi e contrappesi. E ogni territorio ecclesiale deve avere al suo interno i giusti equilibri. Per il dopo Tettamanzi i martiniani temono un candidato ciellino. Temono anzitutto quell’Angelo Scola, patriarca di Venezia, indicato da molti sulla rampa di lancio. Pronto, dunque, al decollo. Scola, tra l’altro, è riuscito in questi anni a crearsi un profilo che va oltre Cl. E’ uomo di caratura internazionale, uomo del dialogo seppure d’impostazione balthasariana: l’idea di Communio contrapposta a quella di Concilium. Eppure, quando si chiede di Scola a Milano, la risposta in Vaticano è sempre una: “E’ inverosimile che il patriarca di Venezia, la diocesi che ha portato al papato Angelo Roncalli e Albino Luciani, lasci per Milano. Sarebbe una diminutio”. Se la candidatura di Scola è controversa, quale allora potrebbe essere quella realistica? La domanda si rincorre da settimane nelle felpate stanze d’oltre il Tevere. In molti ricordano che proprio la sede ambrosiana, nel secolo scorso, ha avuto tre pastori che vi sono arrivati senza precedenti esperienze episcopali: Alfredo Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Montini e lo stesso Carlo Maria Martini. Ecco allora che il profilo dell’outsider s’avanza con sempre maggiore forza. Un profilo di basso impatto mediatico. Un uomo di Chiesa magari completamente “esterno” rispetto alla Chiesa ambrosiana. Una terza scelta. Una personalità che oggi può esistere soltanto nella mente del Papa. Il suo nome potrebbe non essere indicato in nessuna delle terne che i vescovi e i cardinali invieranno al Papa tramite mons. Bertello. Ma questo non è un problema. Su Milano, Benedetto XVI ha intenzione di fidarsi soltanto di se stesso.