''San Roberto Bellarmino, del quale desidero parlarvi oggi, ci porta con la memoria al tempo della dolorosa scissione della cristianità occidentale, quando una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede apostolica'', ha esordito il Papa. Attraverso i suoi scritti di teologia e spiritualità svolse un ruolo importante nella Chiesa del dopo Concilio di Trento per rispondere alla Riforma protestante, nata da “una grave crisi politica e religiosa”. "Le sue 'Controversiae' costituirono un punto di riferimento, ancora valido, per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la rivelazione, la natura della Chiesa, i sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo mistico”. “Egli evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della Tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica”. Membro di numerose Congregazioni, il porporato gesuita ebbe anche incarichi diplomatici, e tuttavia, ha detto il Pontefice, i gravosi uffici di governo “non gli impedirono di tendere quotidianamente verso la santità”. Ha così messo l’accento sul suo impegno nella predicazione: “La sua predicazione e le sue catechesi presentano quel medesimo carattere di essenzialità che aveva appreso dall’educazione ignaziana, tutta rivolta a concentrare le forze dell’anima sul Signore Gesù intensamente conosciuto, amato e imitato”. Nei suoi scritti, ha poi osservato il Papa, si avverte in modo chiaro “il primato che egli assegna agli insegnamenti del Signore”. San Bellarmino fu dunque modello di preghiera, “una preghiera che ascolta la Parola del Signore”, che “non si ripiega su stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio”. “Un segno distintivo della spiritualità del Bellarmino è la percezione viva e personale dell’immensa bontà di Dio, per cui il nostro Santo si sentiva veramente figlio amato da Lui ed era fonte di grande gioia il raccogliersi, con serenità e semplicità, in preghiera, in contemplazione di Dio”. Egli, ha aggiunto, visse ''nella fastosa e spesso malsana società dell'ultimo Cinquecento e del primo Seicento'' e ''da questa contemplazione ricava applicazioni pratiche e vi proietta la situazione della Chiesa del suo tempo con vivace afflato pastorale''. Formato alla spiritualità ignaziana, ha poi aggiunto, il Bellarmino indica come norma sicura del buon vivere e del buon morire “il meditare spesso e seriamente che si dovrà rendere conto a Dio delle proprie azioni” e cercare “di non accumulare ricchezze in questa terra, ma di vivere semplicemente e con carità in modo da accumulare beni in Cielo”. Richiamò inoltre con forza il clero e i fedeli ad una riforma personale della propria vita: ''Il Bellarmino insegna con grande chiarezza e con l'esempio della propria vita che non puoò esserci vera riforma della Chiesa se prima non c'è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore''. “Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà”, ha detto il Papa riecheggiando uno scritto del Santo gesuita, “il sapiente non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio”. “Non sono parole passate di moda, ma da meditare a lungo per orientare il nostro cammino su questa terra. Ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore, il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, nel quale Egli continua a chiamarci e a prometterci la comunione con Lui”. Queste parole, ha soggiunto, ci ricordano “l’importanza di confidare nel Signore, di spenderci in una vita fedele al Vangelo, di accettare e illuminare con la fede e con la preghiera ogni circostanza e ogni azione della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui”.
Asca, Radio Vaticana, AsiaNews
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa