Nella Settimana Santa appena trascorsa, centro di tutto l’Anno liturgico, Benedetto XVI ha pronunciato parole intense, parole forti: una sorta di appello accorato all’umanità per ribadire che la porta del Cielo per raggiungere Dio è stata aperta. Il Papa ha illustrato la straordinaria storia dell’amore di Dio per l’uomo. A quanti negano Dio o sono dubbiosi ha ricordato che le perfezioni del cosmo non si sono prodotte da sé: l’ordine non è generato dal caso o dall’irrazionalità. Dietro una cosa ben fatta c’è un’intelligenza che la produce. Questa Intelligenza, questa Ragione creatrice, è Dio, e Dio è Amore e ha voluto comunicare in modo particolare il suo amore a una creatura, l’uomo: “Se l’uomo fosse soltanto un prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina” (23 aprile 2011, Veglia Pasquale nella Notte Santa).
Senza libertà non c’è vero amore. Per questo l’uomo è libero di rifiutare Dio, di negare addirittura la sua esistenza. E Dio non s’impone. Ma nel cuore dell’uomo resta pur sempre l’impronta divina e senza Dio è perennemente inquieto. Aspira a raggiungere l’infinito, ad essere come Dio, totalmente libero, perfetto, e ci prova con le sue forze: “Noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostro cuore fino all’altezza di Dio. Non ne siamo in grado. Proprio la superbia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio. Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sulla Croce. Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana, per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventato umile...Soltanto così la nostra superbia poteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suo amore, e questo amore umile attrae verso l’alto” (17 aprile 2011, Domenica delle Palme).
Dio è sceso perché l’uomo possa salire. Salire è difficile, non è comodo. La nostra volontà è un’altra. Seguire la volontà di un Altro è duro: è la nostra croce, la nostra morte. Ma Gesù ci ha mostrato che da questa morte viene la vita. Lui ha fatto la volontà del Padre ed è risorto: “La Risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile” (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2011).
La Risurrezione di Gesù è un fatto inaudito che cambia la storia, cambia la vita di tutti. I discepoli, già in fuga davanti al Maestro arrestato e crocifisso, si sarebbero dispersi se non avessero visto con i loro occhi qualcosa di inimmaginabile. Per questo hanno potuto dare la vita per il loro Signore: perché l’hanno visto risorto. Ora non avevano più paura della morte. Nasce la Chiesa: “La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio” (23 aprile 2011, Veglia Pasquale nella Notte Santa).
La Chiesa è fatta di uomini deboli che devono annunciare cose ben più grandi di loro, la Parola di Dio. Per questo è attaccata da Satana davanti al mondo. Noi la vorremmo diversa, perfetta come Dio è perfetto. Anche gli apostoli non accettavano l’idea di un Cristo debole, umile, crocifisso: “Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri. Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro” (21 aprile 2011, Santa Messa nella Cena del Signore).
Essere cristiani non è un vanto, ma una responsabilità: significa testimoniare al mondo il Dio vivente. Il Papa si rivolge ai cristiani: ai cristiani che si credono migliori perché hanno fatto un lungo percorso di fede. Li esorta ad essere umili come catecumeni, sempre all’inizio del cammino, sempre in cerca del Volto di Dio. Si rivolge ai cristiani sonnolenti, insensibili dinanzi al male che sconvolge il mondo perché insensibili a Dio e all’amore. E senza amore la fede è morta. Si rivolge ai popoli dell’Occidente, stanchi della propria fede, e li invita a non disprezzare la Croce: è l’unica speranza dell’umanità: “La Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui” (Via Crucis al Colosseo, 22 aprile 2011).
Radio Vaticana