mercoledì 11 maggio 2011

La diplomazia del Papa sull’islam: dialogo alto o appeasement? Benedetto XVI punta alle coscienze e si affida al card. Tauran. Risultati e dubbi

“Venga a vedere, lei che credeva all’immortalità del comunismo”. E’ quanto disse Giovanni Paolo II, accesa la tv nel suo appartamento privato il giorno della caduta del Muro di Berlino, al suo segretario di stato, il card. Agostino Casaroli. Una piccola rivincita nei confronti di un diplomatico che Karol Wojtyla volle accanto a sé proprio perché diverso da sé: anche se l’Ostpolitik di Casaroli e dei curiali non era l’approccio che Wojtyla auspicava mettere in campo rispetto ai regimi comunisti, il Papa polacco si fidò di chi, in politica estera, era più esperto di lui. Il risultato fu una miscela di opposti che contribuì alla caduta del comunismo. E oggi? Oggi il comunismo non c’è più. Ma un nemico esiste ancora. E’ annidato in quei Paesi musulmani dove i cristiani vengono massacrati nel nome di Dio. Dodici morti e un centinaio di feriti è il bilancio dell’ultimo assalto, quello condotto da gruppi di salafiti contro alcune chiese copte nel quartiere di Imbaba, nella parte nordoccidentale de Il Cairo. Ma, al di là dell’Egitto, sono tante le notizie provenienti dalla galassia islamica a preoccupare. Tanto che è mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo emerito di Lahore in Pakistan, a dichiarare che dopo l’uccisione di Osama Bin Laden i cristiani sono un “facile obiettivo” per chi vuole scatenare una guerra con connotati religiosi fra l’oriente (islamico) e l’occidente (cosiddetto) cristiano. Lo stesso riferiscono fonti ecclesiali in Iraq, che ricordano che “Bin Laden ha creato tutta una scuola”, una “generazione indottrinata da lui”, che tenta di eliminare tutto ciò che non è “islam del medioevo”. Benedetto XVI cosa fa? Cosa fanno i suoi diplomatici, le leve della segreteria di stato vaticana? Qual è insomma la politica estera della Santa Sede nei confronti di paesi a rischio di integralismo islamico? In Segreteria di Stato c’è chi ricorda Ratisbona. E dice che la linea oggi non è mutata, nel senso che “Ratzinger a Ratisbona ha illuminato le coscienze chiedendo che non si usi la violenza nel nome di Dio”. E “noi dobbiamo soltanto cercare di offrire a questa visione del Papa un terreno fertile in cui qualcosa di costruttivo possa germogliare. E’ questo il vero indirizzo di Ratisbona”. E’ d’accordo Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, secondo cui una politica vaticana c’è, ed è quella del “dialogo tra identità diverse”. Spiega: “Convocare il raduno interreligioso di Assisi è un segnale chiaro di quale politica Ratzinger sta perseguendo. Assisi, dunque, è una scelta politica precisa. Ratisbona è stata l’inizio di una strada difficile ma voluta con forza dal Papa in tanti discorsi”. E ancora: “Guardiamo a cosa sta accadendo oggi. Nel mondo islamico dopo l’uccisione di Bin Laden non ci sono state molte dimostrazioni di odio, bandiere bruciate, manichini impiccati, come è avvenuto in altre occasioni di scontro fra oriente e occidente. Il mondo musulmano si è distanziato sempre più dagli eroi a cavallo e nascosti nelle caverne dei monti afghani. Il Vaticano da Ratisbona in poi sta contrastando il terrorismo con progetti di amicizia e sostegno. Questa è la linea. E molti intellettuali islamici se ne sono accorti e apprezzano”. Il Sinodo dei vescovi del Medio Oriente voluto dal Papa lo scorso ottobre ha mostrato che la diplomazia vaticana rispetto all’islam ha un faro principale: la difesa delle Chiese locali. Questa difesa ha significato e continua a significare, piaccia o no, una sorta di politica di appeasement verso l’islam, da alcune parti criticata ma comunque preponderante. Era il 28 novembre scorso quando Shahbaz Bhatti, ministro pachistano delle Minoranze religiose, poi ucciso da estremisti islamici, incontrò il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e uomo importante della diplomazia di Karol Wojtyla. A lui disse: “So che mi uccideranno. Offro la mia vita per Cristo e per il dialogo interreligioso”. Al Papa queste parole sono state riferite. E la sua risposta è stata una: più dialogo per combattere i violenti. E’ la linea che Benedetto XVI aveva deciso, mettendola nero su bianco, qualche settimana prima, nell’incontro da lui convocato a porte chiuse il 19 novembre coi cardinali radunati a Roma per il Concistoro. La diplomazia vaticana è guidata da riconosciuti esperti dei dossier mediorientali e più in generale islamici, come il segretario dei rapporti con gli stati, il corso Dominique Mamberti. Il sostituto Fernando Filoni lascia il posto a Giovanni Angelo Becciu, ma la visione espressa dalla Santa Sede non muta. Resta cioè fedele allo spirito dialogante che Tauran, forse più di Mamberti e di Filoni, incarna da tempo. A Tauran, non a caso, il Papa ha affidato le chiavi dei rapporti con l’islam dopo le incomprensioni suscitate dalla sua lectio di Ratisbona. Lo storico Alberto Melloni ha da poco dato alle stampe “Le cinque perle di Giovanni Paolo II”. Tra queste, mette l’appello di Giovanni Paolo II del 2003 contro l’intervento in Iraq. Melloni riconosce che una “linea alta” di Benedetto XVI esiste ma, ricordando gli anni del duo Wojtyla-Casaroli e le politiche messe in campo allora dalla Santa Sede, dice che oggi “c’è molto di diverso”. Spiega: “Ratzinger, Pontefice a mio avviso profondamente anti curiale, scegliendo Tarcisio Bertone come Segretario di Stato ha voluto depoliticizzare il Vaticano che oggi, infatti, non ha una politica estera ben delineata. Rispetto ai Paesi islamici credo non ci sia un progetto politico chiaro. C’è solo il Pontefice e il suo alto indirizzo spirituale e intellettuale, ma poca politica. Non a caso i nunzi nel mondo non vengono più ricevuti dal Papa. Più chiaro di così?”. Il duo Ratzinger-Bertone è, in effetti, atipico. Dice Melloni: “Ratzinger ha scelto un amico come segretario di stato. I suoi predecessori scelsero invece sempre una figura lontana idealmente da sé perché volevano qualcuno che facesse la politica che il Papa non poteva fare: Pio XI aveva Pietro Gasparri e solo in un secondo momento Eugenio Pacelli. Pio XII aveva Luigi Maglione salvo poi decidere di ‘fare da sé’. Wojtyla scelse Agostino Casaroli e poi Angelo Sodano, anch’egli di visioni differenti dalle sue. Ratzinger oggi illumina con la sua parola, ma una politica estera manca. Non c’è, inoltre, una chiara riflessione su quanto sta avvenendo nell’islam. Wojtyla pensava che il comunismo era il male assoluto e come tale sarebbe imploso in se stesso. Nella ‘Centesimus annus’ parlò di ‘perseveranza non violenta’ della Chiesa nei regimi dell’est. L’islam sembra implodere oggi ma nessuno ancora dice in Vaticano: ‘Lo dicevo io che l’islam non violento avrebbe prevalso’”.

Paolo Rodari, Il Foglio