La “nuova” legge 127 dello Stato di Città del Vaticano sull’antiriciclaggio ha al primo punto la trasparenza finanziaria; prevede una distribuzione di poteri tra diverse autorità, tra le quali la Segreteria di Stato, la Pontificia Commissione per lo Stato di Città del Vaticano e l’Autorità di informazione finanziaria; riconosce il diritto alla riservatezza, ma allo stesso tempo sgombra il campo dal “mito oscurantista” della segretezza vaticana. La legge 127 tende piuttosto alla tutela del diritto alla privacy riconosciuto in tutti i Paesi civili, e contenuto anche nel documento conciliare "Gaudium et spes", e allo stesso tempo prevede lo scambio internazionale di informazioni finanziarie. Una scelta che tende all’adesione allo standard internazionale, ma che prevede un bilanciamento tra diversi interessi, tra i quali appunto la tutela della riservatezza e lo scambio di informazioni. Il Vaticano puntella così la legge 127 del 2010 sull’antiriciclaggio. Una legge che era stata stilata in fretta e furia per diverse ragioni, tra le quali quella di attuare la Convenzione Monetaria con l’Unione Europea del 2009, e quella di risolvere il recente “caso Ior”. Ci si riferisce al “congelamento” da magistrati italiani per sospetta operazione di riciclaggio di 23 milioni di euro movimentati dallo Ior da un suo conto presso il Credito Artigiano verso Jp Morgan (20 milioni) e Banca del Fucino (3 milioni). Le modifiche sembrano indicare che non si è voluta mettere la classica “foglia di fico” a un problema contingente, e che si va verso un adeguamento allo standard internazionale, cui tutti gli Stati sono chiamati (non solo la Santa Sede) ad aderire. Non sembra del resto una coincidenza che, il giorno in cui entravano in vigore i miglioramenti della legge 127 con un decreto d’urgenza, che dovrà passare al vaglio della Pontifica Commissione entro 90 giorni, come nel caso dei decreti-legge italiani, veniva data notizia della ratifica, da parte della Santa Sede, della Convenzione Internazionale per la repressione del finanziamento al terrorismo (ONU, New York 1999), della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale (Palermo 2000) e della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito dei narcotici e delle sostanze psicotrope (Vienna 1988), che aveva già firmato nello stesso anno in cui venne adottata, come si legge nel comunicato distribuito dalla Sala Stampa della Santa Sede. Era il 25 gennaio. In quelli stessi giorni scoppiava il caso Viganò, che veniva trattato come se il Vaticano fosse una “multinazionale” con sede in territorio italiano. Qualche giorno dopo, un memo riservato sui rapporti Ior-Aif è stato dato “sotto banco” alla stampa. Un documento che in maniera equivoca gettava un’ombra sulla trasparenza del Vaticano rispetto alle autorità italiane. Tuttavia, proprio nel recente caso Ior sembra evidente quasi un eccesso di solerzia da parte di Ettore Gotti Tedeschi (nella foto con Benedetto XVI), presidente della Commissione di sovrintendenza dello Ior, che si presentò spontaneamente davanti ai giudici italiani, senza che da loro fosse richiesta una rogatoria internazionale. Una scelta considerata da molti discutibile, perché sembrerebbe quasi una rinuncia di fatto all’immunità non solo di Gotti Tedeschi stesso, ma anche dell’organo di Stato che lui è chiamato a presiedere. Ma si sbaglia a pensare che la questione sia solo tra Vaticano e Italia. Con il miglioramento della legge 127, la Santa Sede tende infatti all’adeguamento agli standard internazionali. Tutto lascia presagire ad una scelta politica di lungo periodo, e di fatto Jeffrey Owens, numero uno della politica fiscale per l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo Economico (Ocse), ha voluto sottolineare alla Associated Press che “il Vaticano sta andando nella giusta direzione”. “Il Vaticano – ha detto Owens - ha riconosciuto che nel contesto finanziario odierno c'è un premio per la trasparenza e che, per raggiungere questo obiettivo, è necessario essere conformi agli standard internazionali, sia nel campo del riciclaggio di denaro, sia in quello dell'evasione fiscale e della corruzione”. Se la prima legge 127 sul riciclaggio era stata scritta in fretta, per rispondere a due esigenze contingenti, con questi ulteriori aggiustamenti la Santa Sede sul tema dell’antiriciclaggio mostra di fare sul serio. Ed è una politica di lungo periodo. Basti pensare che, dopo solo un anno, la Santa Sede ha rimesso mano alla propria legge. E la riforma è stata richiesta dagli stessi Commissari Moneyval, organismo del Consiglio d’Europa, in visita in Vaticano lo scorso novembre. I commissari avevano infatti rilevato delle inadeguatezze nella normativa vaticana. Si legge infatti nel comunicato di Moneyval che “al termine della missione, il team di Moneyval ha condiviso e discusso le sue prime conclusioni con i rappresentanti della Santa Sede”. Erano, in fondo, inadeguatezze delle quali la Santa Sede era consapevole, vista la genesi della legge stessa. I riferimenti sono infatti gli standard internazionali, le 40+9 Raccomandazioni del Gafi (Gruppo di Azione Finanziaria del Fondo Monetario Internazionale), le coordinate da seguire per tutti gli Stati. Le novità sono importanti. Ad esempio, il vecchio testo della 127 indicava una sola autorità competente per il contrasto del riciclaggio, l’Autorità di Informazione Finanziaria istituita da Benedetto XVI nel 2010. Ora, risulta chiaro il ruolo di altre autorità, tra le quali la Segreteria di Stato, la Pontificia Commissione del Governatorato dello Stato di Città del Vaticano, l’Autorità di Informazione Finanziaria, e anche la Gendarmeria Vaticana. È un dato tecnico che conferma una politica lungimirante. Le giurisdizioni, infatti, sono chiamate a coinvolgere tutte le proprie istituzioni, in maniera coerente al principio di rule of law, per cui le autorità competenti sono chiamate a perseguire la medesima politica di rigore e trasparenza per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. Un altro aspetto interessante è che nel nuovo testo si nota, oltre allo sforzo di attuare lo standard internazionale, anche quello di adattarlo al contesto vaticano, dove non c’è mercato e non ci sono delle banche. Come ammette la stessa Cassazione italiana, infatti, lo Ior è un “ente centrale della Chiesa”, cioè un ente di natura governativa, che non ha come scopo di distribuzione degli utili.La sfida accettata dalla Santa Sede sembra quindi essere quella di adeguarsi agli standard internazionali in materia finanziaria senza snaturare le proprie istituzioni. Uno sforzo che si può vedere ad esempio in materia di liste dei terroristi stilate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Secondo il nuovo testo della legge 127, infatti, la Santa Sede non prevede un recepimento meccanico delle liste dell’Onu. Questa scelta sembra preservare la neutralità della Santa Sede e del Vaticano. Le liste infatti sono adottate sotto il capo 7 della Carta Onu, applicabile in tempo di guerra. Accettare meccanicamente le liste metterebbe in imbarazzo o sarebbe in contraddizione con l’orientamento della Santa Sede, storicamente neutrale e a favore della pace. La Santa Sede del resto non è uno Stato membro dell’Onu, ma è Osservatore Permanente. Così la Santa Sede mantiene la propria autonomia, ma si mostra sensibile agli obiettivi di sicurezza internazionale. È infatti la Segreteria di Stato che, come recita il nuovo articolo 24, elaborerà le liste, anche se sulla base delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Insomma, tutto lascia pensare che la Santa Sede, al contrario di quanto una lettura superficiale degli eventi possa indurre a pensare, stia facendo sul serio. Non per rispondere a dei problemi interni, o per dei richiami europei o italiani, ma probabilmente per offrire il proprio contributo per il perseguimento di obiettivi strategici come il contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo a livello internazionale.
Andrea Gagliarducci, Korazym.org
Ior, trasparenza non di facciata