martedì 21 agosto 2012

Corte distrettuale federale di Portland assolve il Vaticano dalle responsabilità per un religioso colpevole di pedofilia: non è un dipendente

Michael Mosman, giudice della Corte distrettuale federale di Portland (Oregon), ha stabilito lunedì 20 agosto che la Santa Sede "non può essere considerata come il datore di lavoro" dei sacerdoti e dunque responsabile in sede civile per gli abusi sessuali commessi dai chierici. Ogni caso va dunque valutato singolarmente e il fatto di essere prete non significa di per sé l’essere considerato alla stregua del dipendente di un’impresa. E nel caso specifico ha accertato la mancanza totale di qualsiasi "rapporto di lavoro" tra la Santa Sede e il sacerdote protagonista degli abusi. La decisione chiude il procedimento con la motivazione di "mancanza di giurisdizione". L’avvocato Jeff Anderson, che rappresenta molte vittime di abusi sessuali negli States, ha comunque annunciato ricorso in appello. Un appello che il legale della Santa Sede, Jeffrey Lena, definisce "molto difficile da vincere". Il caso è stato portato in tribunale dieci anni fa, nel 2002, con l’accusa alla Santa Sede di essere responsabile per il comportamento di padre Andrew Ronan, un sacerdote appartenente all’ordine del Servi di Maria (OSM), che nel 1965 aveva abusato di un ragazzo di 17 anni. Dai documenti è emerso che padre Ronan, nel corso di 15 anni, aveva abusato di altri ragazzi, a Chicago e a Benburg, in Irlanda. Ma questi episodi erano stati mantenuti segreti dall’ordine religioso e la Santa Sede era stata informata di tutto ciò soltanto nel momento in cui Ronan chiese di essere dimesso dallo stato clericale. I superiori del religioso avevano deciso il trasferimento, prima da Benburg a Chicago, quindi a Portland, senza avvertire né il responsabile locale dell’ordine né il vescovo di Portland di quanto era accaduto in precedenza. La Corte distrettuale federale ha cercato di stabilire se la Santa Sede abbia dato lavoro a padre Ronan, se abbia avuto un ruolo nel decidere il trasferimento da un posto all’altro, se era a conoscenza del fatto che il prete abusava dei ragazzi. E infine se padre Ronan fosse un impiegato della Santa Sede. Se il giudice avesse riscontrato come vere queste accuse, il caso sarebbe andato a giudizio e si sarebbe aperto il processo. In caso contrario sarebbe stato accantonato e non si sarebbe potuto procedere: questa è stata appunto la decisione. La Corte ha infatti stabilito che il Vaticano non è stato coinvolto nella vicenda fino al 1966, quando il vescovo di Portland, dopo aver attestato la fondatezza dell’accusa contro Ronan, chiese alla Congregazione vaticana che si occupa dei religiosi di dimetterlo dallo stato clericale. La dimissione avvenne immediatamente, in tutto passarono cinque settimane. "Questo caso è importante – spiega a Vatican Insider l’avvocato Lena – perché ancora una volta dimostra la distinzione tra certe accuse e la realtà delle cose che emerge dai documenti. Dopo aver esaminato centinaia di pagine, il giudice non ha trovato alcun fondamento alla tesi dell’accusa che voleva considerare la Santa Sede 'datore di lavoro' di Ronan o comunque coinvolta nei fatti accaduti. Di conseguenza, ha stabilito che non c’erano le basi per proseguire con il processo. La Corte ha rigettato la teoria secondo la quale un prete va considerato come un 'impiegato' della Santa Sede solo per il fatto di essere sacerdote soggetto alle norme generali del Codice di diritto canonico. Sono state esaminate per la prima volta nei minimi particolari le basi dell’accusa secondo la quale la Santa Sede sarebbe coinvolta nei trasferimenti dei preti responsabili di abusi, e questi preti sarebbero da considerare 'impiegati' della stessa Santa Sede. E ha determinato che entrambe queste accuse sono false". Un’ultima annotazione riguarda le date: perché nel 1966 il Vaticano prese la decisione di ridurre allo stato laicale il sacerdote religioso in tempi così rapidi, con procedure simili a quelle che il card. Joseph Ratzinger prima, e poi con ancora maggior vigore Benedetto XVI poi, hanno stabilito dopo l’esplodere dello scandalo dei preti pedofili negli Usa, in Irlanda e in Germania? E perché negli anni successivi, fino al 2001, non si è proceduto con la stessa celerità? Bisogna considerare che fino alla fine del Pontificato di Paolo VI le dispense per la dimissione dallo stato clericale venivano concesse con molta più facilità ai sacerdoti che chiedevano di poter lasciare l’abito per potersi sposare, ma anche per i preti coinvolti nei casi di abuso. È con il Pontificato di Papa Wojtyla che, di fronte alla crisi delle vocazioni, viene tirato il freno: le riduzioni dei un preti allo stato laicale diventano più rare e sono l’esito di un attento processo. Le norme e le procedure meno permissive nel concedere le dimissioni hanno finito per determinare una minore tempestività nel decidere quella che viene considerata la pena più grave anche per i casi di preti responsabili di abusi sui minori. Una tendenza che Papa Ratzinger ha voluto personalmente invertire, introducendo quasi una legislazione "di emergenza" per far fronte a questi terribili casi.

Andrea Tornielli, Vatican Insider