venerdì 5 ottobre 2012

Sinodo dei vescovi 2012. La discussione in Concilio, l'istituzione da parte di Paolo VI e la prima Assemblea del 1967 dedicata, proprio come quella imminente, alla diffusione del Vangelo

Era il 21 settembre 1963, mancavano pochi giorni alla ripresa del Concilio Vaticano II e il nuovo Papa, Paolo VI (nella foto con l'allora card. Ratzinger), eletto nel giugno precedente, tenne un importante discorso alla Curia romana accennando tra l’altro alla possibilità di affiancare e associare ai dicasteri curiali esponenti dell’Episcopato: "Quando il Concilio Ecumenico mostrasse desiderio di vedere associato in un certo modo e per certe questioni, in conformità alla dottrina della Chiesa e alla legge canonica, qualche rappresentante dell’episcopato, particolarmente fra i presuli che dirigono una diocesi, al capo supremo della Chiesa stessa, nello studio e nella responsabilità del governo ecclesiastico, non sarà sicuramente la Curia romana a farvi opposizione". Nel novembre successivo, durante il dibattito conciliare nel quale vennero formulate critiche anche molto accese verso i metodi del Sant’Uffizio, sarebbe stata avanzata anche la proposta che il Papa venisse aiutato nel suo compito da un organismo composto da vescovi di tutto il mondo. Un organismo che potesse esercitare le funzioni un tempo attribuite al concistoro cardinalizio, da consultare su problemi generali riguardanti la Chiesa. Papa Montini decideva di avocare a sé la decisione in merito. Due anni dopo, il 14 settembre 1965, inaugurando la quarta e ultima sessione del Concilio, Paolo VI annunciava l’istituzione del Sinodo dei vescovi che "sarà convocato, secondo i bisogni della Chiesa, dal romano Pontefice, per sua consultazione e collaborazione, quando, per il bene generale della Chiesa ciò sembrerà a lui opportuno". Paolo VI riteneva che questo nuovo organismo potesse aiutare il Papa nell’esercizio del primato, pur non avendo funzioni deliberative ma solo consultive. Nel settembre 1967 il Papa inaugurava il neonato Sinodo dei vescovi. La prima Assemblea, riunitasi a Roma per quattro settimane, aveva come tema "La preservazione e il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica". Un tema molto vicino a quello del Sinodo che si sta per aprire in Vaticano. Nell’omelia di apertura, Paolo VI manifesta tutta la sua preoccupazione per la crisi che si stava delineando all’interno della Chiesa: "La sollecitudine della fedeltà dottrinale, che fu all’inizio del recente Concilio, così solennemente enunciata, deve perciò guidare questo nostro periodo post-conciliare, e con tanto maggiore vigilanza da parte di chi nella Chiesa di Dio ha da Cristo il mandato d’insegnare, di diffondere il suo messaggio e di custodire il 'deposito' della fede, quanto più numerosi e più gravi sono i pericoli che oggi la minacciano". "Pericoli immani", li definiva Montini, "a causa dell’orientamento irreligioso della mentalità moderna, e pericoli insidiosi che dall’interno stesso della Chiesa si pronunciano per opera di maestri e di scrittori...spesso maggiormente desiderosi di adeguare il dogma della fede al pensiero ed al linguaggio profano, che di attenersi alla norma del magistero ecclesiastico, lasciando così libero corso all’opinione che, dimenticate le esigenze dell’ortodossia, si possa scegliere fra le verità della fede quelle che a giudizio d’un’istintiva preferenza personale sembrano ammissibili, rifiutando le altre...e si possa sottoporre a revisione il patrimonio dottrinale della Chiesa per dare al cristianesimo nuove dimensioni ideologiche, ben diverse da quelle teologiche, che la genuina tradizione, con immensa riverenza al pensiero di Dio, delineò". "La fede, come sappiamo", precisava ancora il Papa ai vescovi provenienti da tutto il mondo riuniti nel nuovo organismo consultivo, "non è frutto d’un’interpretazione arbitraria, o puramente naturalista della Parola di Dio, come non è l’espressione religiosa nascente dall’opinione collettiva, priva di guida autorizzata, di chi si dice credente, né tanto meno l’acquiescenza alle correnti filosofiche o sociologiche del momento storico transeunte. La fede è adesione di tutto il nostro essere spirituale al messaggio meraviglioso e misericordioso della salvezza a noi comunicato per le vie luminose e segrete della Rivelazione; essa non è solo ricerca, ma innanzitutto certezza" Durante quel primo Sinodo, alcuni Padri avevano chiesto che si preparasse una "regola della fede", per riproporre con chiarezza e semplicità i contenuti della fede cattolica. Nel giugno dell’anno successivo, il 1968, Papa Montini proclamava il "Credo del popolo di Dio", basato su una bozza trasmessa dal filosofo Jacques Maritain al cardinale svizzero Charles Journet. Nel 1969 Paolo VI realizzerà un'altra delle proposte emerse dal primo Sinodo dei vescovi, istituendo la Commissione teologica internazionale, subordinata alla congregazione per la Dottrina della fede. Il Papa desiderava in questo modo valorizzare la teologia, facendo in modo che essa contribuisca ad affrontare i problemi umani alla luce della rivelazione. Nel 1974, il terzo Sinodo dei vescovi avrebbe affrontato ancora il tema dell’evangelizzazione delle realtà temporali. Nell’Esortazione Apostolica "Evangelii nuntiandi" (8 dicembre 1975), il Papa affermava la "vocazione specifica" dei laici, che nel mondo "devono esercitare...una forma singolare di evangelizzazione", nei campi della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale. L’esortazione permette al papa di far propri i suggerimenti dell’episcopato mondiale e al tempo stesso di rispondere ancora una volta, a fraintendimenti e contestazioni, spiegando che "la presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che le incombe per mandato del Signore Gesù, affinché gli uomini possano credere ed essere salvati. Sì, questo messaggio è necessario. È unico. È insostituibile. Non sopporta né indifferenza, né sincretismi, né accomodamenti". La Chiesa "esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa". Evangelizzare, spiegava Montini, non significa soltanto "predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza". Paolo VI chiariva che "il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture", tuttavia il regno, "che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane". E anzi avverte come "la rottura tra Vangelo e cultura» sia «senza dubbio il dramma della nostra epoca". Occorre quindi "fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture".

Andrea Tornielli, Vatican Insider