Rinnovamento,
Chiesa, missione e fede. Sono queste
le quattro parole che, secondo
l’arcivescovo di Philadelphia, mons.
Charles Joseph Chaput (nella foto con Benedetto XVI), esigono
maggiore attenzione nel contesto
dell’Anno della fede. Il presule, durante
un discorso tenuto nei giorni
scorsi al Catholic Life Congress di
Philadelphia, dal titolo: "Anno della
fede: rinnovamento della Chiesa e
della sua missione" ha sottolineato
che "l’unica cosa che conta è essere
Santi. È ciò che dobbiamo essere. È
ciò che dobbiamo diventare".
In merito alla parola “rinnovamento”,
l’arcivescovo Chaput ha ricordato
che "nel corso del tempo,
anche il matrimonio più saldo può
logorarsi per difficoltà e fatiche. Le
coppie rinnovano le promesse matrimoniali
per ravvivare e rafforzare il
reciproco amore. La storia della
Chiesa è molto simile: quante volte
è accaduto che la vita della Chiesa
sia divenuta routine; poi un ripensamento,
e ancora stagnazione e cinismo,
o peggio. Per il cambiamento,
Dio ci dona Santi come Bernardo di
Chiaravalle, Francesco di Assisi, Teresa
d’Avila e Caterina da Siena,
per ripulire il cuore della Chiesa; in
altre parole, per ringiovanirla. I Santi
riaccendono il 'fuoco sulla terra'
(Luca, 12, 49), perché così Gesù ha
voluto che siano tutti i suoi discepoli.
Ai nostri giorni - ha proseguito
il presule - possiamo vedere questo
stesso agire dello Spirito Santo nel
cammino neo-catecumenale, nel movimento
di vita cristiana, nel Walking
with Purpose, nella Fellowship
of Catholic University Students e in
tante altre forme apostoliche. Questi
nuovi movimenti ecclesiali rappresentano
un momento di grazia molto
importante per la Chiesa, compresa
la Chiesa in Philadelphia".
Secondo l’arcivescovo, non bisogna
avere paura, perché questo è
esattamente il modo in cui cominciarono
i francescani e altri ordini
religiosi. "Dobbiamo accogliere cordialmente
lo zelo che sta dietro a
questi nuovi carismi, anche quando
li mettiamo alla prova. La Chiesa ha
sempre bisogno di cambiamento e
riforma, ma cambiamento e riforma
che siano fedeli a Gesù Cristo e al
magistero cattolico. L’autentico rinnovamento
è organico, non distruttivo".
L’arcivescovo, inoltre, ha analizzato
la seconda parola: “Chiesa”.
"La Chiesa - ha detto - non è un
'che cosa' ma un “chi”. La Chiesa
ha forme istituzionali poiché deve
lavorare nelle strutture legali e materiali
del mondo. Ma la Chiesa è
essenzialmente madre e maestra,
guida e consolatrice, famiglia e comunità
di fede. È così che dobbiamo
pensarla. E la Chiesa è la 'Sua'
Chiesa, la sposa di Gesù Cristo,
non la 'nostra' Chiesa nel senso di
possederla o di avere autorità per riscrivere
i suoi insegnamenti". Mons. Chaput ha focalizzato
l’attenzione sul grande vescovo del
terzo secolo, San Cipriano, il quale
scriveva: "Non puoi avere Dio per
Padre se non hai la Chiesa per madre". "Dobbiamo appartenere alla
Chiesa da figli e figlie. La Chiesa -
ha aggiunto l’arcivescovo - deve vivere
nei nostri cuori come ci vive la
nostra famiglia, e radunarci la domenica
per amarci e sostenerci a vicenda
come famiglia, per lodare il
Padre e per condividere il cibo che
ci è donato nel Figlio. La liturgia
festiva deve essere viva e piena di
fede, celebrata con convinzione e
gioia. La Chiesa di mattoni sarebbe
un guscio vuoto se dentro le sue
mura non si ardesse di zelo per Dio
e per la salvezza gli uni degli altri".
La terza parola è “missione”. "La
nostra missione, il nostro fine e impegno
di discepoli di Cristo, è semplice:
'Fate discepoli tutti i popoli'
(Matteo , 28, 19). Gesù voleva dire
esattamente quello che ha detto, e
quelle parole del Vangelo valgono
per tutti, compresi io e voi. Dobbiamo
portare Gesù Cristo a tutto il
mondo e tutto il mondo a Gesù
Cristo. La nostra missione - ha sottolineato
il presule - discende direttamente
dalla vita intima della Trinità.
Dio Padre ha inviato il suo Figlio,
il Figlio invia la sua Chiesa, e
la Chiesa invia noi. Ovviamente,
non possiamo convertire il mondo
da soli. Non siamo chiamati al successo,
che spetta solo a Dio. A noi
spetta di provare, di lavorare insieme
e di sostenerci a vicenda da credenti
e sempre chiedendo l’aiuto di
Dio. Dio ascolta. Il resto è compito
suo, ma noi dobbiamo provare.
Dobbiamo fare ben più che conservare
vecchie strutture, dobbiamo essere
missionari".
Infine, l’arcivescovo di Philadelphia
ha spiegato il significato autentico
della parola “fede”. "La fede
non è un’emozione. Non è una serie
di dottrine o concetti, benché queste
giochino un ruolo importante
nella vita di fede. La fede è fiducia
nelle realtà invisibili basata sulla parola
di qualcuno che conosciamo e
amiamo, in questo caso Dio. La fede
è dono di Dio. Lui sceglie noi.
Possiamo certamente chiedere il dono
della fede, e quando ci è data,
possiamo scegliere liberamente se
accoglierla o no. Ma l’iniziativa è di
Dio, e solo un incontro vivo e un
rapporto vivo con Gesù Cristo rende
la fede sostenibile. La fede - ha
concluso - apre i nostri occhi
sull’autentica realtà di Dio. Guardando
con occhi nuovi, abbiamo ragione
di sperare. E la speranza attiva
la carità, facendoci superare la
paura per vedere al di là di noi stessi
le sofferenze e i bisogni degli altri.
Si forma la storia e si promuove
la vita, credendo in qualcosa più
importante di noi stessi. Così, la fede
è la pietra d’angolo della vita cristiana,
perché ci dilata, ci anima, è
sempre all’opera. Se non è condivisa,
muore. Ci conduce oltre noi
stessi e ci fa rischiare".
L'Osservatore Romano
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