"Vorrei mostrare come fare perché
il Catechismo della Chiesa Cattolica, da strumento muto, come
un violino di pregio posato su un
panno di velluto, si trasformi in
strumento che suona e scuote i
cuori". Ha usato una metafora
musicale il cappuccino Raniero
Cantalamessa per introdurre la prima
Predica di Avvento, tenuta questa mattina, nella
Cappella Redemptoris Mater del
Palazzo Apostolico, alla presenza
di Benedetto XVI e della Curia romana.
Scegliendo di dedicare il primo
degli appuntamenti in preparazione
al Natale al tema dell’Anno della
fede, il predicatore della Casa
Pontificia si è soffermato in particolare
sull’opera, di cui ricorre il
ventennale, curata dal card.
Joseph Ratzinger. Per questo, ha
esordito con una battuta, "non
parlerò del contenuto del Catechismo;
sarebbe come voler spiegare
la Divina Commedia a Dante Alighieri". Piuttosto, il relatore ha
sottolineato la necessità per i cristiani
di oggi "di passare dalla partitura
all’esecuzione, dalla pagina
muta a qualcosa di vivo che fa vibrare
l’anima": in pratica, cioè
nell’Anno della Fede lo studio e la
riscoperta del Catechismo apre alla
"ricchezza di insegnamento che la
Chiesa ha accolto, custodito e offerto
nei suoi duemila anni di storia". Per questo ha citato la visione
di Ezechiele, della mano tesa che
porge un rotolo. "Il Pontefice -
ha spiegato - è la mano che, in
quest’anno, porge di nuovo alla
Chiesa il Catechismo dicendo:
'Prendi questo libro, mangialo'".
E mangiare un libro significa "non
solo studiarlo, analizzarlo, memorizzarlo,
ma farlo carne della propria
carne e sangue del proprio
sangue, 'assimilarlo'. Trasformarlo
da fede studiata in fede vissuta".
Però siccome ciò «non è possibile
con tutta la mole del libro», allora
"bisogna cogliere il principio che
informa e unifica il tutto, il cuore
pulsante del Catechismo", ovvero
Gesù.
In proposito il predicatore ha
chiarito la distinzione tra 'kerygma' e
'didaché'. "Il primo, che Paolo chiama
anche 'il vangelo', riguardava
l’opera di Dio in Cristo, il mistero
pasquale di morte e risurrezione, e
consisteva in formule brevi di fede,
mentre la seconda si riferiva all’insegnamento
successivo, alla formazione
completa del credente".
Dunque la fede "sbocciava solo in
presenza del kerygma", che "non
era un riassunto della fede, ma il
seme da cui nasce tutto il resto. E
anche il più antico nucleo del credo
riguardava Cristo, di cui metteva
in luce la duplice componente,
umana e divina". Poi il "nucleo
primitivo, o credo cristologico,
venne inglobato in un contesto più
ampio. Questo sviluppo della dottrina
cristiana è un arricchimento,
non un allontanamento dalla fede
originaria". Quindi per attualizzare
il discorso "sta a noi oggi - in
primo luogo ai vescovi, ai predicatori,
ai catechisti - far risaltare il
carattere a parte del 'kerygma' come
momento germinativo della fede.
In un’opera lirica, per riprendere
l’immagine musicale, c’è il recitativo
e c’è il cantato e nel cantato ci
sono gli acuti che scuotono l’uditorio
e provocano emozioni forti, brividi". Del resto, ha avvertito, "la nostra situazione è tornata a
essere la stessa del tempo degli
apostoli. Abbiamo davanti, almeno
in certi ambienti, un mondo postcristiano
da rievangelizzare. Dobbiamo
riportare alla luce la spada
dello Spirito che è l’annuncio, in
Spirito e potenza, di Cristo morto
e risorto".
Inotre il 'kerygma' è per il predicatore
della Casa Pontificia "anche
un certo clima spirituale, uno sfondo
sul quale tutto si colloca. Sta
all’annunciatore permettere allo
Spirito Santo di creare questa atmosfera". Per questo il Ccc può
assumere oggi il ruolo che nella
Chiesa apostolica spettava alla didachè:
formare la fede, darle un
contenuto, mostrarne le esigenze
etiche e pratiche, portare la fede a
rendersi «operante nella carità".
Soprattutto padre Cantalamessa
ha posto l’accento sulla terza 'c'
del titolo del Catechismo, cioè
dell’aggettivo cattolica. Per lui "la
forza di alcune Chiese non cattoliche
è di puntare tutto sul momento
iniziale, la venuta alla fede,
l’adesione al 'kerygma' e l’accettazione
di Gesù come Signore, visto come
un 'nascere di nuovo', o 'seconda
conversione'. Ma questo
può divenire un limite se ci si ferma
a esso. Noi cattolici abbiamo
da imparare qualcosa da tali Chiese,
ma abbiamo anche tanto da dare.
Nella Chiesa cattolica tutto ciò
è l’inizio, non la fine della vita cristiana.
Dopo quella decisione, si
apre il cammino verso la crescita e,
grazie alla sua ricchezza sacramentale,
al magistero, all’esempio di
tanti santi, la Chiesa è in una situazione
privilegiata per condurre i
credenti alla perfezione". E se il
'kerygma' è l’acuto della catechesi,
per produrlo non basta alzare il tono
della voce, occorre l’unzione
dello Spirito Santo. "C’è bisogno
di istruzione dall’esterno, c’è bisogno
di maestri; ma la loro voce penetra
nel cuore solo se a essa si aggiunge
quella interiore dello Spirito.
È l’unzione dello Spirito che fa
passare dalle enunciazioni di fede
alla loro realtà". E ha citato come
caso di "unzione della fede" quello
sperimentato da Pascal nella
notte del 23 novembre 1654 e una
propria esperienza personale mentre
assisteva a una Messa natalizia
di mezzanotte presieduta da Giovanni
Paolo II in San Pietro. Perché, ha concluso, l’unzione dello
Spirito Santo produce "un effetto
collaterale nell’annunciatore: gli
fa sperimentare la gioia di proclamare
Gesù e il suo Vangelo. Trasforma
l’evangelizzazione da incombenza
e dovere, in un onore".
L'Osservatore Romano
L'Anno della fede e il Catechismo della Chiesa
Cattolica
- il testo integrale della predica di padre Cantalemessa