venerdì 7 dicembre 2012

Cantalamessa: la nostra situazione è tornata a essere la stessa del tempo degli apostoli. Abbiamo davanti, almeno in certi ambienti, un mondo postcristiano da rievangelizzare. Dobbiamo riportare alla luce la spada dello Spirito che è l’annuncio, in Spirito e potenza, di Cristo morto e risorto

"Vorrei mostrare come fare perché il Catechismo della Chiesa Cattolica, da strumento muto, come un violino di pregio posato su un panno di velluto, si trasformi in strumento che suona e scuote i cuori". Ha usato una metafora musicale il cappuccino Raniero Cantalamessa per introdurre la prima Predica di Avvento, tenuta questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza di Benedetto XVI e della Curia romana. Scegliendo di dedicare il primo degli appuntamenti in preparazione al Natale al tema dell’Anno della fede, il predicatore della Casa Pontificia si è soffermato in particolare sull’opera, di cui ricorre il ventennale, curata dal card. Joseph Ratzinger. Per questo, ha esordito con una battuta, "non parlerò del contenuto del Catechismo; sarebbe come voler spiegare la Divina Commedia a Dante Alighieri". Piuttosto, il relatore ha sottolineato la necessità per i cristiani di oggi "di passare dalla partitura all’esecuzione, dalla pagina muta a qualcosa di vivo che fa vibrare l’anima": in pratica, cioè nell’Anno della Fede lo studio e la riscoperta del Catechismo apre alla "ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito e offerto nei suoi duemila anni di storia". Per questo ha citato la visione di Ezechiele, della mano tesa che porge un rotolo. "Il Pontefice - ha spiegato - è la mano che, in quest’anno, porge di nuovo alla Chiesa il Catechismo dicendo: 'Prendi questo libro, mangialo'". E mangiare un libro significa "non solo studiarlo, analizzarlo, memorizzarlo, ma farlo carne della propria carne e sangue del proprio sangue, 'assimilarlo'. Trasformarlo da fede studiata in fede vissuta". Però siccome ciò «non è possibile con tutta la mole del libro», allora "bisogna cogliere il principio che informa e unifica il tutto, il cuore pulsante del Catechismo", ovvero Gesù. In proposito il predicatore ha chiarito la distinzione tra 'kerygma' e 'didaché'. "Il primo, che Paolo chiama anche 'il vangelo', riguardava l’opera di Dio in Cristo, il mistero pasquale di morte e risurrezione, e consisteva in formule brevi di fede, mentre la seconda si riferiva all’insegnamento successivo, alla formazione completa del credente". Dunque la fede "sbocciava solo in presenza del kerygma", che "non era un riassunto della fede, ma il seme da cui nasce tutto il resto. E anche il più antico nucleo del credo riguardava Cristo, di cui metteva in luce la duplice componente, umana e divina". Poi il "nucleo primitivo, o credo cristologico, venne inglobato in un contesto più ampio. Questo sviluppo della dottrina cristiana è un arricchimento, non un allontanamento dalla fede originaria". Quindi per attualizzare il discorso "sta a noi oggi - in primo luogo ai vescovi, ai predicatori, ai catechisti - far risaltare il carattere a parte del 'kerygma' come momento germinativo della fede. In un’opera lirica, per riprendere l’immagine musicale, c’è il recitativo e c’è il cantato e nel cantato ci sono gli acuti che scuotono l’uditorio e provocano emozioni forti, brividi". Del resto, ha avvertito, "la nostra situazione è tornata a essere la stessa del tempo degli apostoli. Abbiamo davanti, almeno in certi ambienti, un mondo postcristiano da rievangelizzare. Dobbiamo riportare alla luce la spada dello Spirito che è l’annuncio, in Spirito e potenza, di Cristo morto e risorto". Inotre il 'kerygma' è per il predicatore della Casa Pontificia "anche un certo clima spirituale, uno sfondo sul quale tutto si colloca. Sta all’annunciatore permettere allo Spirito Santo di creare questa atmosfera". Per questo il Ccc può assumere oggi il ruolo che nella Chiesa apostolica spettava alla didachè: formare la fede, darle un contenuto, mostrarne le esigenze etiche e pratiche, portare la fede a rendersi «operante nella carità". Soprattutto padre Cantalamessa ha posto l’accento sulla terza 'c' del titolo del Catechismo, cioè dell’aggettivo cattolica. Per lui "la forza di alcune Chiese non cattoliche è di puntare tutto sul momento iniziale, la venuta alla fede, l’adesione al 'kerygma' e l’accettazione di Gesù come Signore, visto come un 'nascere di nuovo', o 'seconda conversione'. Ma questo può divenire un limite se ci si ferma a esso. Noi cattolici abbiamo da imparare qualcosa da tali Chiese, ma abbiamo anche tanto da dare. Nella Chiesa cattolica tutto ciò è l’inizio, non la fine della vita cristiana. Dopo quella decisione, si apre il cammino verso la crescita e, grazie alla sua ricchezza sacramentale, al magistero, all’esempio di tanti santi, la Chiesa è in una situazione privilegiata per condurre i credenti alla perfezione". E se il 'kerygma' è l’acuto della catechesi, per produrlo non basta alzare il tono della voce, occorre l’unzione dello Spirito Santo. "C’è bisogno di istruzione dall’esterno, c’è bisogno di maestri; ma la loro voce penetra nel cuore solo se a essa si aggiunge quella interiore dello Spirito. È l’unzione dello Spirito che fa passare dalle enunciazioni di fede alla loro realtà". E ha citato come caso di "unzione della fede" quello sperimentato da Pascal nella notte del 23 novembre 1654 e una propria esperienza personale mentre assisteva a una Messa natalizia di mezzanotte presieduta da Giovanni Paolo II in San Pietro. Perché, ha concluso, l’unzione dello Spirito Santo produce "un effetto collaterale nell’annunciatore: gli fa sperimentare la gioia di proclamare Gesù e il suo Vangelo. Trasforma l’evangelizzazione da incombenza e dovere, in un onore".
 
L'Osservatore Romano
 
L'Anno della fede e il Catechismo della Chiesa Cattolica - il testo integrale della predica di padre Cantalemessa