lunedì 18 febbraio 2013

Card. Ratzinger: la 'reformatio' della Chiesa, necessaria in ogni tempo, consiste nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall'alto e che è nello stesso tempo l'irruzione della pura libertà

Era sabato 1° settembre 1990 ed il card Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, conclude il Meeting dell’Amicizia tra i popoli sul tema "Una compagnia sempre riformanda" davanti ad un affollato auditorium della vecchia Fiera di Rimini, che parla della Chiesa. Per caso, tra le mie scartoffie, alcuni mesi fa, avevo ritrovato quel testo, ed ora rileggendolo sembra molto attuale, fin dal suo incipit: “La parola e la realtà della Chiesa sono cadute in discredito. E perciò anche una simile riforma permanente non sembra poter cambiare qualcosa. O forse il problema è solamente che finora non è stato scoperto il tipo di riforma che potrebbe fare della Chiesa una compagnia che valga davvero la pena di essere vissuta? Ma chiediamoci innanzitutto: perché la Chiesa riesce sgradita a così tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra sofferenze, lo sono in qualche modo ancora oggi?”. A queste sue provocatorie domande il card. Ratzinger aveva proposto alcune piste di riflessione: “Alcuni soffrono perché la Chiesa si è troppo adeguata ai parametri del mondo d'oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. Per la maggior parte della gente, la scontentezza nei confronti della Chiesa comincia col fatto che essa è un’istituzione come tante altre, e che come tale limita la mia libertà. La sete di libertà è la forma in cui oggi si esprimono il desiderio di liberazione e la percezione di non essere liberi, di essere alienati. L’invocazione di libertà aspira ad un’esistenza che non sia limitata da ciò che è già dato e che mi ostacola nel mio pieno sviluppo, presentandomi dal di fuori la strada che io dovrei percorrere. Ma dappertutto andiamo a sbattere contro barriere e blocchi stradali di questo genere, che ci fermano impedendoci di andare oltre. Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia”. A questo punto il card. Ratzinger ha spiegato perché in molti esiste l’amarezza contro la Chiesa: “Tuttavia, dal momento che la Chiesa nel suo aspetto concreto si è talmente allontanata da simili sogni, assumendo anch’essa il sapore di una istituzione e di tutto ciò che è umano, contro di essa sale una collera particolarmente amara. E questa collera non può venir meno, proprio poiché non si può estinguere quel sogno che ci aveva rivolti con speranza verso di essa. Siccome la Chiesa non è così come appare nei sogni, si cerca disperatamente di renderla come la si desidererebbe: un luogo in cui si possano esprimere tutte le libertà, uno spazio dove siano abbattuti i nostri limiti, dove si sperimenti quell'utopia che ci dovrà pur essere da qualche parte. Come nel campo dell'azione politica si vorrebbe finalmente costruire il mondo migliore, così si pensa, si dovrebbe finalmente (magari come prima tappa sulla via verso di esso) metter su anche la Chiesa migliore: una Chiesa di piena umanità, piena di senso fraterno, di generosa creatività, una dimora di riconciliazione di tutto e per tutti”. Ma una Chiesa che abbandona l’esser guidata da Qualcuno rischia di naufragare in una riforma inutile con il rischio di dissolvenza: “La 'reformatio', quella che è necessaria in ogni tempo, non consiste nel fatto che noi possiamo rimodellarci sempre di nuovo la ‘nostra’ Chiesa come più ci piace, che noi possiamo inventarla, bensì nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall'alto e che è nello stesso tempo l'irruzione della pura libertà… Certo, la Chiesa avrà sempre bisogno di nuove strutture umane di sostegno, per poter parlare e operare ad ogni epoca storica. Tali istituzioni ecclesiastiche, con le loro configurazioni giuridiche, lungi dall’essere qualcosa di cattivo, sono al contrario, in un certo grado, semplicemente necessarie e indispensabili. Ma esse invecchiano, rischiano di presentarsi come la cosa più essenziale, e distolgono così lo sguardo da quanto è veramente essenziale. Per questo esse devono sempre di nuovo venir portate via, come impalcature divenute superflue. Riforma è sempre nuovamente una 'ablatio': un toglier via, affinché divenga visibile la nobilis forma, il volto della Sposa e insieme con esso anche il volto dello Sposo stesso, il Signore vivente. Una simile 'ablatio', una simile ‘teologia negativa’, è una via verso un traguardo del tutto positivo”. Secondo Ratzinger la liberazione che la Chiesa può darci è stare nell’orizzonte dell’Eterno attraverso il perdono: “La Chiesa non è una comunità di coloro che ‘non hanno bisogno del medico’, bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri. Se leggiamo con attenzione il Nuovo Testamento, scopriamo che il perdono non ha in sé niente di magico; esso però non è nemmeno un far finta di dimenticare, non è ‘un fare come se non’, ma invece un processo di cambiamento del tutto reale, quale lo Scultore lo compie. Il toglier via la colpa rimuove davvero qualcosa; l'avvento del perdono in noi si mostra nel sopraggiungere della penitenza. Il perdono è in tal senso un processo attivo e passivo: la potente parola creatrice di Dio su di noi opera il dolore del cambiamento e diventa così un attivo trasformarsi. Perdono e penitenza, grazia e propria personale conversione non sono in contraddizione, ma sono invece due facce dell'unico e medesimo evento. Questa fusione di attività e passività esprime la forma essenziale dell'esistenza umana. Infatti tutto il nostro creare comincia con l’essere creati, con il nostro partecipare all’attività creatrice di Dio… Si riconosce che non c’è riforma dell’uomo e dell’umanità senza un rinnovamento morale. Ma l’invocazione di moralità rimane alla fine senza energia, poiché i parametri si nascondono in una fitta nebbia di discussioni. In effetti l’uomo non può sopportare la pura e semplice morale, non può vivere di essa: essa diviene per lui una ‘legge’, che provoca il desiderio di contraddirla e genera il peccato. Perciò là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi… La morale conserva la sua serietà solamente se c'è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il ‘prezzo d’acquisto’, l’‘equivalente nello scambio’, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra ‘morale - perdono –espiazione’ non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto. Dall'indivisa esistenza di questo circolo dipende se per l’uomo c’è redenzione oppure no”. Quindi per il card. Ratzinger non “si può disgiungere la morale dalla cristologia, poiché non la si può separare dall'espiazione e dal perdono. In Cristo tutta quanta la Legge è adempiuta, e quindi la morale è diventata una vera, adempibile esigenza rivolta nei nostri confronti… E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale. Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l’Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati...Ma una vita umana senza dolore non c’è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi...La vita va più in là della nostra esistenza biologica. Dove non c’è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena...Cari amici, da simile fede noi dobbiamo lasciarci riempire! Allora la Chiesa cresce come comunione nel cammino verso e dentro la vera vita, e allora essa si rinnova di giorno in giorno. Allora essa diventa la grande casa con tante dimore; allora la molteplicità dei doni dello Spirito può operare in essa”.

Simone Baroncia, Korazym.org