domenica 25 gennaio 2009

Casa Bianca e Santa Sede trattano: il Papa vuole un canale diretto con Obama

di Mario Calabresi
La Repubblica

Il giorno del giuramento di Obama (foto), sulla facciata della Chiesa Cattolica di Santo Stefano a Washington era stato issato un immenso striscione con la scritta: "Grazie presidente Bush per aver difeso la vita". Due giorni dopo, nello stesso Mall che aveva accolto due milioni di persone per le cerimonie di inaugurazione, alcune decine di migliaia di cattolici hanno partecipato all'annuale "Marcia per la Vita", dove una trentina di oratori hanno promesso di combattere ogni passo ulteriore in favore dell'interruzione di gravidanza e dove gli studenti della Ave Maria School of Law innalzavano cartelli con la scritta "Yes We Can...terminate abortion" ("Sì possiamo... far finire l'aborto"). Infine, in meno di una settimana, mezzo milione di persone hanno visto su YouTube il video di un'organizzazione antiabortista (CatholicVote. org) in cui si racconta la storia di un feto destinato ad una vita difficile ("sarà abbandonato dal padre e la madre single avrà vita dura a crescerlo") ma che negli ultimi fotogrammi si trasforma in Barack Obama. "Nonostante tutte le difficoltà - dice il messaggio - questo bambino diventerà il primo presidente afroamericano: ecco è il potenziale della vita". Questi segnali, insieme alle prese di posizione di alcuni vescovi italiani, potrebbero far pensare che sia già scoppiata una guerra culturale e di valori tra la Chiesa cattolica e il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ma altri particolari raccontano invece gli sforzi della Casa Bianca e del Vaticano per tenere aperto un dialogo e per evitare uno scontro aperto in un Paese in cui il 53 per cento dei cattolici ha scelto Obama. Un dettaglio ben presente sul Tevere e sul Potomac: oggi, da entrambe le parti, si vuole evitare un nuovo caso Zapatero.
Obama è stato attentissimo a non dare connotati ideologici alle sue scelte: non ha ancora revocato - lo si aspettava il primo giorno - l'ordine esecutivo di Bush che vieta la ricerca pubblica sulle cellule staminali embrionali; non ha preso decisioni sull'aborto nell'anniversario della sentenza della Corte Suprema, come fecero sia Clinton sia Bush; e quando venerdì ha cancellato il divieto di dare fondi pubblici alle ong che fanno pianificazione familiare nei Paesi in via di sviluppo, non ha fatto alcun discorso pubblico. Nel 1993 proprio Clinton fece la stessa scelta - di abolire il divieto voluto da Reagan - mentre era in corso la "Marcia per la Vita" e quando la notizia arrivò al ricevimento a cui partecipavano i cardinali americani giunti a Washington, il commento fu: "Non ci ha neppure fatto la cortesia di aspettare che lasciassimo la Capitale". Obama questa cortesia l'ha fatta e nel comunicato diffuso venerdì sera ha sottolineato di voler mettere fine "ad un dibattito stantio e infruttuoso che è servito solo a dividere", e di voler evitare "ogni politicizzazione del tema". I vescovi americani, pur dicendosi profondamente delusi, non hanno ancora scelto lo scontro e preferiscono tenere aperto un canale di dialogo perché sperano che Obama non appoggi e non firmi il Freedom of Choice Act (Foca), la legge in discussione al Congresso che prevede una rimozione di tutti i limiti all'aborto decisi negli ultimi anni a livello federale e statale. Anche John Allen, vaticanista della CNN e editorialista del National Catholic Reporter, presentando alla New York University l'edizione americana del volume di Massimo Franco sulla storia dei rapporti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti ("Parallel Empires", pubblicato da Doubleday) ha sottolineato che oggi non c'è un clima di scontro aperto ma che la guerra scoppierà proprio se il presidente firmerà il Foca. Finora non una sola parola di condanna è venuta dal nunzio apostolico a Washington, mons. Pietro Sambi, ma anzi sono stati notati - anche con disappunto da parte degli ambienti più conservatori del cattolicesimo americano - i gesti non richiesti dalla prassi di Benedetto XVI: due telegrammi di congratulazioni e una telefonata in poche settimane. Nel primo, mandato il giorno dell'elezione, il Pontefice si rallegrava per "l'avvenimento storico", nell'ultimo - inviato martedì - esprimeva il desiderio di collaborare per combattere "la povertà, la fame e la violenza" e promuovere la pace. Un atteggiamento pragmatico, che si riscontra anche nelle trattative riservate con la Casa Bianca sulla nomina del nuovo ambasciatore americano presso la Santa Sede. Obama pensava al professore cattolico Douglas Kmiec che nonostante uno storico legame con il partito repubblicano - è stato consigliere legale per Reagan e Bush padre - ha pubblicato un libro in cui spiegava perché i cattolici avrebbero dovuto sostenere il candidato nero. Ma il Vaticano avrebbe fatto sapere di non gradire la scelta e avrebbe chiesto di poter contare invece su un ambasciatore che abbia un contatto diretto con il Presidente per poter avere un dialogo costante. In silenzio, e sempre in nome del pragmatismo, sembra che Obama abbia ritirato la sua scelta.