di Elio Bromuri
Molte cose sono avvenute dal 25 gennaio 1959 nella Chiesa e nel mondo. Avvenimenti che all’inizio degli anni Cinquanta nessuno avrebbe immaginato. C’erano stati appena dieci anni prima il Monitum e un’Istruzione (1948 e 1949) in cui si prendevano le distanze dal movimento ecumenico e si apriva un timido e diffidente spiraglio di apertura verso i cristiani dissidenti, di cui si auspicava il ritorno. Tre mesi dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro, Giovanni XXIII, annuncia che essendo investito di “una duplice responsabilità di vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale” intende proporre, “con umile risolutezza”, “la duplice celebrazione di un Sinodo diocesano per l’Urbe e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale”. La Chiesa improvvisamente ci apparve in una luce nuova, giovane e aperta al futuro, al centro dell’attenzione del mondo.Questa sensazione proveniva dalle parole, brevi e misurate, ma chiare e risolute ed anche dal tempo e dallo spazio in cui erano state pronunciate, la Basilica di San Paolo, nel giorno della festa della sua conversione. Il nuovo Papa, eletto solo tre mesi prima, considerato un Papa di transizione e un vegliardo di stampo tradizionale, con quelle parole inattese destò curiosità e stupore. Tutti subito pensarono all’unione dei cristiani, per l’aggettivo “ecumenico” interpretato in senso moderno, anche da parte del Servizio stampa del Vaticano che, in un comunicato pubblicato sull’Osservatore Romano del giorno dopo, spiegava che “la celebrazione del Concilio, nel pensiero del Santo Padre, mira non solo alla edificazione del popolo cristiano, ma vuole essere altresì un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità”. Questa intenzione sarà successivamente chiarita e ridimensionata, nel senso che non sarebbe stato un Concilio di tutte le confessioni cristiane chiamate a raccolta, ma solo della Chiesa cattolica e, tuttavia, indirizzato a favorire l’unione, che in quel momento molti cattolici consideravano un ritorno alla “comune casa paterna”, come si era espresso Papa Giovanni nell’omelia in San Paolo. Precisato il senso del processo verso l’unità, che non si conclude con un semplice ritorno, ma con una comune conversione della mente e del cuore di tutti i cristiani, cattolici compresi, l’indirizzo e l’impianto “ecumenico” è rimasto in tutti i lavori di preparazione e di celebrazione del Concilio. Ritornando a quel 25 gennaio, dopo l’annuncio ai cardinali nella sala attigua alla basilica, che ha attraversato il mondo come fremito di sorpresa e di gioia al di là di ogni confine confessionale, Papa Giovanni confessa nel suo diario, il “Giornale dell’anima”, che si sarebbe aspettato dai suoi più vicini collaboratori un plauso e un incoraggiamento, mentre invece si sentì avvolto da un “impressionante devoto silenzio”. Un Concilio è un evento epocale, che si misura nella prospettiva dei secoli, e mette la Chiesa in stato di tensione, come di fronte ad una svolta che può essere estremamente impegnativa e risulta, pertanto, una decisione coraggiosa che ad alcuni poteva sembrare persino avventata. Ma il Papa è un uomo di Dio, diligente esecutore dei suoi disegni e delle sue ispirazioni, che ragiona alla luce dello Spirito di cui evoca una nuova Pentecoste per la sua Chiesa a beneficio dell’intera umanità. Tutto il suo pensiero lo esprimerà poi nella Costituzione apostolica “Humanae salutis” di Indizione del Concilio, due anni dopo, ma l’annuncio di cinquant’anni fa segna il principio, l’atto di origine di qualcosa che dura ancora nel tempo e ha segnato profondamente la storia della Chiesa e del mondo. “Per la giornata odierna, disse Giovanni XXIII, basta questa comunicazione”, e chiese “una parola intima e confidente” per avere suggerimenti invocando l’intercessione di Maria e di “tutti i santi della Curia celeste”. Tutto ciò a “edificazione e letizia di tutto il popolo cristiano”, rinnovando l’invito “ai fedeli delle Comunità separate a seguirci anch’esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra” (Allocuzione del 25 gennaio 1959).